Vissuta interamente da dentro, ovvero fuori dalla bolla londinese che tutto è fuorché Britannia, se c’è una frase che meglio di ogni altre sintetizza quanto accaduto negli ultimi 5 anni è quella di Nigel Farage: “War is over”.
La Brexit è stata una guerra, terminata per cause di forza maggiore. Sarebbe costata troppo a un Primo Ministro che avrebbe avuto troppo da perdere e che è pronto a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi politici.
Prendi la defenestrazione del braccio destro Dominic Cummings, eminenza grigia della campagna che ha ribaltato la storia geopolitica recente, lasciato lì fin quando non avrebbe costituito un ostacolo. Idem per la repentina separazione dalla seconda moglie, per evitare che nel pieno della battaglia qualcuno aprisse armadi e trovasse scheletri. Giocò d’anticipo. Come pure ha giocato d’anticipo nelle ultime ore di negoziazioni, quando l’ipotesi di un periodo di transizione di cinque anni e mezzo per consentire la piena applicazione delle nuove regole sulla pesca, gli avrebbe consentito di celebrare a Giugno 2026, esattamente a dieci anni dal referendum, la piena riconquista della sovranità. Qualsiasi cosa voglia dire, in un mondo sempre più caratterizzato da tecnologie senza confini come la blockchain.
Pare anacronistico, eppure perfettamente in linea con lo spirito che ha animato molti Brexiters: “Ho votato Leave perché mi ricordo i bei vecchi tempi.” Ecco: i bei vecchi tempi e la difficoltà di fare i conti con un mondo che cambia, mettendo in discussione lo status quo, sono stati il motore reale dell’addio.
Insomma, è nel DNA. Non sarai mai uno di loro. E, per contro, non vogliono essere uno di noi. Per questo il tentativo di ricomposizione del tessuto, cui hanno già cominciato a lavorare, non porterà da nessuna parte: resterà un fiume carsico sotterraneo. È sempre stato così. Anche Re Filippo, greco di origine, deve restare sempre un passo dietro la Regina Elisabetta. Questa è l’Inghilterra, e sembra non aver niente a che vedere con le ragioni economiche.
Eppure, a ben guardare nelle pieghe di questa storia, la ragione economica c’è, eccome. La goccia che fece traboccare il vaso del risentimento popolare fu quella vissuta come l’invasione dall’Est, ovvero fette di popolazione europea proveniente da Romania, Polonia e via dicendo che a loro dire avrebbero fatto razzia di benefit statali. Un peccato capitale per coloro i quali il sistema è funzionale a preservare il tratto identitario cardine: l’individualismo. Perché, paradossalmente, senza la rete di protezione costituita dai benefit statali e dalle charity, la libera competizione porterebbe al caos.
Questo è l’iceberg su cui l’Unione Europea si è schiantata. Non sorprendono quindi le parole di un deputato conservatore: “Adesso saremo liberi di creare le condizioni per il libero movimento, senza barriere, con l’Australia, la Nuova Zelanda e il Canada.” Alla domanda del giornalista sul perché andare così lontano quando avevamo tutte queste cose con l’Europa, la risposta è stata: “Perché sono democrazie simili alle nostre e sono ricche almeno quanto noi”. Appunto.