La situazione politica resta complicata, ma forse poco seria, tenendo conto del bilancio pesante di morti per la pandemia e delle tensioni sociali che ormai sono visibili per le lunghe file dei nuovi poveri agli sportelli della Caritas e di altre Organizzazioni umanitarie, delle serrande di tanti esercizi chiuse e delle denunce dell’insufficienza e dei ritardi nelle misure di sollievo annunciate ma non tempestivamente applicate.
Negli incontri di questi giorni per la verifica promossa da Conte, sullo schema di gestione dei fondi straordinari dell’UE progettato dal Presidente del Consiglio, paiono aprirsi spiragli di una possibile composizione dei contrasti all’interno della maggioranza. Conte pone con forza sia l’efficienza di un superamento dei problemi che ancora bloccano un’incisiva terapia d’urto per affrontare i nodi della crisi economica e del disagio sociale, sia il ricorso alle risorse del MES per porre mano ad una riorganizzazione e ad un potenziamento di un sistema sanitario che ha denunciato vistose lacune.
La sensazione è che, almeno per ora, tutti anche mediante una revisione del progetto per la gestione dei fondi comunitari convengono sull’opportunità di evitare una crisi di governo che interferirebbe pesantemente sia sui tempi utili per accedere ai mezzi del Recovery Fund sia la nostra credibilità nello scenario europeo ed internazionale e aprirebbe la strada, in piena emergenza, all’incognita di un voto anticipato.
In questo clima sospeso, fra rischi e speranze, sta diventando di moda la critica allo stesso Presidente del Consiglio che avrà tutti i difetti dei professori chiamati a compiti di governo, ma anche meriti, fra i quali uno grande ma misconosciuto.
Quello di avere progressivamente costituzionalizzato e integrato nelle responsabilità istituzionali una forza nata all’insegna di una lotta al sistema, come il Movimento 5 stelle che è passato dalla demonizzazione della NATO alla sua accettazione dall’ostilità all’UE alla sua condivisione, dalla condanna delle grandi opere alla loro esecuzione, da una vaga ripulsa delle dinamiche dell’economia ad una loro diversa comprensione.
Una scelta, che ci ha evitato fenomeni di ribellismo come quelli apparsi in altri Paesi europei e che ha concorso a preservare un minimo di coesione sociale.