Questo 2020, tra le altre cose, ha ricordato a tutti l’importanza della politica monetaria , soprattutto nei periodi di “crisi”, quando è necessario adottare “misure eccezionali”.
Ma dal 26 luglio 2012, la politica monetaria è entrata nelle case di tutti. Ha bussato anche agli usci più lontani e meno sensibili a ciò che accadeva nella lontana “Europa”. Quel giorno, senza spendere un euro, è stata realizzata la più grande manovra di politica monetaria della storia. L’ha realizzata Mario Draghi, allora Presidente della BCE, pronunciando la famosa frase “Wathever it takes”.
Nel maggio 2012 si erano tenute le elezioni in Grecia; in Spagna la crisi bancaria si aggravava: se Madrid non avesse più avuto accesso al mercato, il rischio avrebbe contagiato l’Italia, con conseguenze inimmaginabili. Il 29 giugno a Bruxelles il Consiglio Ue dei capi di Stato e di governo prese la decisione di dar vita a un meccanismo di vigilanza unico, sotto la leadership della Bce. Era la premessa per l’Unione bancaria europea. Venne decisa inoltre la creazione di un nuovo fondo di stabilità europeo che intervenisse direttamente nella ricapitalizzazione delle banche in difficoltà, il progenitore dell’attuale Mes. Nel momento più difficile dell’euro, in cui tanti speculatori scommettono sulla fine dell’unione monetaria, il 26 luglio Mario Draghi è invitato a parlare a Londra, alla Lancaster House, quando l’allora premier britannico David Cameron tiene un discorso per elogiare i punti forza e l’attrattività della Gran Bretagna e convincere gli investitori a puntare sul Paese che è voluto caparbiamente restare fuori dell’euro. Cameron aveva chiesto a Mervyn King, a quel tempo governatore della Bank of England, di invitare anche il Presidente della BCE.
Draghi sapeva di avere a disposizione solo pochi minuti, ma nessuna delle sue parole è frutto dell’improvvisazione. È indispensabile un messaggio forte. Inequivocabile. “Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough …”. La frase provoca un terremoto. Molti hedge fund, che avevano scommesso contro l’euro, perdono una montagna di soldi; le banche si riprendono progressivamente. Quel giorno lo spread tra il Btp decennale e il Bund tedesco, che aveva aperto la seduta a 520 punti, termina a 473 punti, dopo le parole di Draghi. Da quel momento in poi i tassi dei titoli di Stato inizieranno a scendere precipitosamente.
Ricordare quei momenti, riguardare quelle brevi immagini, ancora oggi fa venire la pelle d’oca: c’era bisogno di un messaggio forte, di uno shock, e Draghi lo sapeva. Sapeva che le parole del Presidente della BCE hanno un peso, un enorme peso. Da allora partì il bazooka del QE. Bazooka che ancora sta sparando le sue cartucce, attraverso l’attuale Presidente Lagarde, che ha un utilizzo delle parole forse meno affilato ed un eloquio meno centrato sull’accomodanza della BCE, “ a qualunque costo”. La BCE nella riunione di dicembre ha ricalibrato il pacchetto di sostegno all’economia come aveva già preannunciato ad ottobre. La ricalibrazione ha riguardato soprattutto il PEPP e le TLTROs (come da attese): il PEPP è stato ampliato di altri 500 miliardi ed esteso da giugno 2021 fino a marzo 2022, mentre per le TLTROs sono state aggiunte altre 3 aste per coprire tutto il 2021 e sono state estese a metà 2022 i termini favorevoli che le caratterizzano. I tassi di interesse invece non sono stati tagliati, nonostante il riferimento costante al fatto che la BCE vigili attentamente sull’apprezzamento del tasso di cambio. Il mercato si aspettava probabilmente qualcosa di più per il PEPP, una maggiore estensione temporale che arrivasse a coprire fino a metà 2022, invece di 9 mesi. La BCE, del resto, riconosce che la possibilità di poter disporre di vaccini efficaci consente di nutrire una ragionevole speranza che dal 2022 l’economia possa riprendere a funzionare in modo più “normale”. Solamente questi due accenni rendono l’idea di cosa voglia dire politica monetaria per tutti noi. Per tutti i cittadini.