È una malattia mondiale cui è dedicata la “Giornata Internazionale contro la Corruzione” (9 dicembre), istituita nel 2003, a Merida, in Messico, con la relativa convenzione ONU ed adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la crescente minaccia alla stabilità e sicurezza di altri Stati, avendone assunto dimensioni transnazionali. Dal 2005 è in vigore uno strumento giuridico vincolante tra polizia e magistratura anche per l’arresto e l’estradizione dei colpevoli.
È la piaga sociale che accomuna l’Italia del Nord e quella del Sud, in modo trasversale ed è presente in tutti i ceti, diversa solamente per modalità attuative.
Nella nostra Costituzione l’articolo 54 reci: “Tutti i cittadini hanno il dover di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.” Fedeltà alla Repubblica, disciplina ed onore, giuramento, sono doveri per chiunque acceda agli impieghi nella Pubblica Amministrazione.
L’articolo 97 dispone: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.” (vedasi, in merito la diatriba sul Meccanismo Europeo di Stabilità).
Prosegue affermando che: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.” (sono noti a tutti disorganizzazioni, disfunzioni e privilegi).
Negli altri due commi è detto, rispettivamente, che: “Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.” (sono note inadempienze per culpa in vigilando ed in eligendo).
“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.” Ed il concorso, come l’opinione pubblica conosce bene, è davvero il punto debole della pubblica amministrazione sotto ogni profilo, con la chiave di volta nel primo comma del successivo articolo 98 della Costituzione, nell’affermare che: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.”
Sembra una affermazione quasi ovvia, si direbbe piuttosto pleonastica se non fosse che alcuni impiegati, dietro compensi in denaro od in natura, siano stati scoperti al servizio di altri, spesso estranei alla pubblica amministrazione, per fornire loro notizie, informazioni ed elementi destinati a rimanere riservati, vanificando gli esiti di lunghi e complessi procedimenti amministrativi od indagini di Polizia giudiziaria, concretizzando, a volte, anche ipotesi di reati più gravi, quali “attentati alle Istituzioni democratiche”.
Nella realtà, vincere un concorso pubblico, tra interferenze giuridiche, raccomandazioni, bustarelle, promesse indebite ed obbligazioni di vario genere, per i giovani diventa una vera gara ad ostacoli per opporre resistenza alle infiltrazioni di illegalità che l’inchiesta “mani pulite” degli anni ‘90 sembrava eliminare alla radice, rimasta invece un’opera incompiuta.
La corruzione è una vera piaga sociale, allargata a macchia d’olio. I soggetti coinvolti sono di diverse fasce d’età e di estrazioni sociali. Non c’è settore dell’apparato statale che ne sia rimasto immune, dal pubblico concorso di usciere a quello più elevato di Primario o Rettore Universitario, libere professioni comprese. Il settore sanitario, forse batte ogni record.
Anche il Papa ebbe di recente a lamentarsi delle forme di corruzione nell’ambito della Chiesa, definendole “male antico che si tramanda e si trasforma nei secoli. È una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, e di nuovo si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione”. Bisogna combattere su più fronti per reprimerla, ma non è facile estirparla quando essa si è espansa nel tessuto sociale, come la gramigna.
Per fortuna la stragrande maggioranza della società è di sani principi e li persegue dentro le istituzioni e fuori di esse; ma il danno che i pochi producono non è allo Stato, non è alle casse dell’Erario, ma è furto all’intera collettività e nei momenti come questa universale pandemia da Covid-19 è più che evidente chi ne paga le maggiori conseguenze, il più debole, il povero.