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Il nuovo triangolo del potere pubblico

sabato, 12 Dicembre 2020
2 minuti di lettura

Il nuovo triangolo del potere pubblico ha un marchio tutto italiano. Siamo l’unica democrazia pluralista ad aver inventato un sistema in cui accanto a quello politico e a quello burocratico si aggiunge il potere tecnocratico. Che meraviglia, verrebbe da dire! Che efficienza! E Max Weber, che della burocrazia era stato insieme il cantore e il maggior critico, sarebbe positivamente incuriosito da questa italica creatura.

In fondo cosa c’è di meglio di una struttura di potere così organizzata? Il popolo sceglie i politici che danno indirizzi ai burocrati dei ministeri. Questi ultimi, un tempo chiamati dispregiativamente “mezze maniche” (da quelle mezze maniche nere di stoffa indossate per proteggere i vestiti dalle macchie d’inchiostro), predispongono carte e scartoffie che rispettano rigorosamente i labirinti di leggi e regolamenti e non è colpa loro se sono rigidi e poco creativi. E alla fine arriva il supermanager che, come il deus ex machina della tragedia greca, tutto risolve con perizia, genialità e fantasia offrendo alla politica su un piatto di argento la decisione finale.

Un percorso senz’altro originale fatto di indirizzo politico, esecuzione burocratico-formale, inventiva e capacità gestionale e decisione che riafferma il primato della politica. Funzionerà?

Di sicuro per ora sta per portare ad una crisi di Governo, visto che Renzi ha posto il problema come ultimatum a Conte, seguìto, con toni meno bellicosi anche da qualcuno del Pd. Ridotto all’osso il tema è questo. In un sistema semi-presidenziale o di premierato o Cancellierato che dir si voglia il capo dell’Esecutivo comanda sui ministri e quindi può dotarsi di tutti i mezzi che lo aiutino ad esercitare meglio questo ruolo di supremazia. Per la nostra Costituzione il Presidente del Consiglio è un primus inter pares e nulla di più, dirige e coordina la politica generale ma non può sostituire i ministri a suo piacimento né invadere le loro competenze. Si può dotare di collaboratori che possono affiancare ma non scavalcare i poteri che i singoli ministri hanno non per delega del Presidente del Consiglio ma per legge. Tocca ai ministri far funzionare la macchina burocratica che dipende da loro. E se essa non funziona non possono intervenire dei manager esterni ad esautorare la Pubblica amministrazione. Una legge che prevedesse tutto questo, anche se per un periodo limitato di emergenza altererebbe l’equilibrio costituzionale.

Come se ne esce? Innanzitutto evitando di introdurre queste norme sulla governance del PNRR nella legge di Bilancio. Non c’entrano niente. Peraltro la legge di Bilancio sarà approvata in fretta e furia con voti di fiducia senza la possibilità di discutere analiticamente le norme sulla gestione del Piano. Conte su questo punto deve dare ragione a Renzi. Ma sulla sostanza il problema rimane. E Conte ha un valido argomento: con le sole competenze della burocrazia ministeriale frammentata in mille rivoli non caviamo un ragno dal buco. Ricordiamo, tra parentesi, che durante il Governo Renzi (2015) fu sbandierata ai 4 venti una gigantesca riforma della burocrazia dei cui effetti non si è vista l’ombra…

Una soluzione potrebbe essere questa: utilizzare il CIPE (Comitato Interministeriale per la Politica Economica) che è presieduto dal Presidente del Consiglio. All’interno del CIPE inserire una squadra di tecnici- manager che hanno il compito di supportare il presidente del Consiglio nell’elaborazione delle decisioni che tocca a lui mettere all’ordine del giorno, previa consultazione con i Ministeri competenti. Per l’esecuzione dei progetti approvati da un organo di indirizzo politico come il CIPE si possono creare delle strutture di missione ad hoc su singoli progetti che invece di rispondere al solo Presidente del Consiglio rispondono al CIPE. E queste strutture di missione posso essere guidate anche da manager esterni alla PA che agiscono nell’ottica del coordinamento di funzioni disperse tra vari ministeri tipica della filosofia del CIPE.

Potrebbe funzionare.

Giuseppe Mazzei

Filosofo, Ph.D. giornalista, lobbista, docente a contratto e saggista. Dal 1979 al 2004 alla Rai, vicedirettore Tg1 e Tg2, quirinalista e responsabile dei rapporti con le Authority. Per 9 anni Direttore dei Rapporti istituzionali di Allianz. Fondatore e Presidente onorario delle associazioni "Il Chiostro - trasparenza e professionalità delle lobby" e "Public Affairs Community of Europe" (PACE). Ha insegnato alla Sapienza, Tor Vergata, Iulm e Luiss di cui ha diretto la Scuola di giornalismo. Scrivi all'autore

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