giovedì, 19 Dicembre, 2024
Società

Scuole chiuse, un’Italia senza futuro

Lo scarso interesse per il sistema scolastico dei provvedimenti d’urgenza denunciano tutti i limiti di un Paese che non investe sulla formazione e quindi sul futuro dei propri giovani.

“Bene De Bortoli che nel suo recente editoriale denuncia la mancanza di incisività del Governo nei confronti delle scuole in queste lunghe ondate pandemiche”. A cogliere al volo l’assist del direttore del Corriere è l’ex sottosegretaria all’Istruzione, l’onorevole Valentina Aprea (FI), firmataria di una proposta per il rinnovamento del sistema scolastico da inserire nel Recovery Fund e nel Recovery Plan. “L’importante – sottolinea l’Aprea – è che, alle soglie del terzo decennio del terzo millennio, non si vadano a disperdere altre risorse economiche in un sistema ‘cotto’, di matrice novecentesca, basato solo sul sapere trasmissivo a due dimensioni, lo scritto e l’orale. In Cina alle superiori si studiano le intelligenze artificiali, a Dubai sono a zero carta nelle scuole. Anche il nord Europa, la Finlandia, la Svezia, la Germania, investono moltissimo sulla conoscenza delle tecnologie digitali. Il coding, la programmazione informatica, è possibile insegnarla addirittura nelle scuole primarie. Oggi come oggi non è tanto importante quello che si sa, quanto invece la capacità di adattamento, il saper affrontare e risolvere i problemi, la familiarità con la modernità, la scienza, la tecnologia, che già pervade ogni ambito della vita e del lavoro di ciascuno di noi e che lo farà sempre di più. A questo deve servire la scuola”.

Sono i numeri a testimoniare come in Italia non si investa sul capitale umano. De Bortoli ci ricorda che solo il 3.9 per cento del Prodotto Interno Lordo, una delle percentuali più basse nel mondo, è destinato all’educazione primaria, secondaria e terziaria, e a quest’ultima, all’università per intenderci, appena lo 0.9 contro la media Ocse dell’1.4 per cento. Non investire sulla formazione significa non investire sul futuro, non cogliere le sfide della digitalizzazione e della globalizzazione, perdere in termini di competitività.

Ma per fare questo, è necessaria una vera strategia di modernizzazione della nostra scuola, basata sulla valorizzazione dei talenti e la personalizzazione dei percorsi formativi che possono anche essere accelerati a secondo dei soggetti. “Secondo uno studio Ocse del 2019, ben il 75% del corpo docente italiano non ha mai inserito nella propria didattica la tecnologia – fa notare l’Aprea – e la didattica a distanza (DAD) adottata come risposta alla pandemia altro non è che la semplice trasposizione del vecchio sistema di insegnamento, unidirezionale e monomediale, su device diversi. Devono cambiare i luoghi e i modi di insegnamento se si vogliono formare nuove generazioni all’altezza dei tempi e delle caratteristiche dei nuovi mercati del lavoro che si prospettano”.

L’emergenza da Covid 19 sta, dunque, dimostrando tutti i profondi deficit del sistema scolastico italiano, colto alla sprovvista rispetto a didattiche più rispondenti ai tempi di una generazione nativo digitale che poco ha a che spartire con la logica di banchi con le rotelle e l’incapacità di immaginare una scuola fuori delle classiche aule scolastiche. E la chiusura delle scuole ogni due per tre non sembra possa essere l’unica soluzione possibile e auspicabile per le future generazioni di cittadini italiani. 

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