La questione di cui oggi ci occupiamo è antica e, direi, tuttora irrisolta perché riguarda nuovamente il modo di combinare fra loro le disposizioni degli articoli 102 (Riserva di giurisdizione) e 103 (Funzioni riservate) della Costituzione, per poi leggere la VI disposizione transitoria (Giurisdizioni speciali minori) alla luce del combinato disposto che ne deriva.
Questo insieme di principi, tuttora parzialmente in attuati, vanno periodicamente a scontrarsi con quelli – di origine completamente diversa – che presiedono ai nostri complicati rapporti con l’Unione Europea, anche in materia di giustizia: un ulteriore episodio di questo possibile scontro risiede in quanto stiamo per narrare.
Sembra infatti di essere di fronte ad un Puzzle regolatorio e ripartitorio di complessità tale da far tremare le vene ai polsi dei migliori giuristi, ma – come spesso avviene – la realtà è più semplice degli enunciati che si sforzano di descriverla, anche al solo fine di configurarla e quella realtà può così ridursi alla sola questione della opinabilità di un’ originaria scelta politica: quella di affidare la tutela delle situazioni soggettive di cui ognuno di noi è portatore ad una pluralità di giudici, anziché – come avviene nella maggior parte dei Paesi occidentali – a schiere di magistrati appartenenti ad un ordinamento giudiziario unico, all’interno del quale la progressione delle carriere vada di pari passo con la specializzazione che ciascun magistrato viene, nel tempo, ad acquistare in materia di diritto civile, amministrativo, penale o tributario che sia.
Da noi la situazione è diversa: al punto da far tutto ruotare attorno all’ampliamento della discrezionalità giudiziaria e della irresponsabilità dei giudici, o meglio dei magistrati nel loro complesso indipendentemente dalla circostanza dell’essere effettivamente investiti di funzioni giudicanti.
Lasciando ad una prossima occasione l’esame delle ulteriori conseguenze che dalla scelta di un simile modello derivano – rendendo il nostro pianeta giustizia un ircocervo sempre meno compatibile con le garanzie multilivello offerte dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta Europea dei Diritti Fondamentali – ci occupiamo stavolta solo del più recente punto di affioramento delle diverse problematiche che il nostro sistema di riparto delle giurisdizioni ha generato: quello del “rifiuto di giurisdizione“ da cui può derivare addirittura un diniego della tutela domandata, in contrasto con il diritto europeo.
L’’ potrebbe così trovarsi esposta ad una ulteriore procedura di infrazione, ex art. 258 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Forse per evitare che ciò avvenga, è stata emessa – dalla Cassazione – l’Ordinanza delle Sezioni Unite n. 19598, pubblicata lo scorso 18 settembre, che – nel domandare alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunziarsi, in via pregiudiziale (ex art. 267 TFUE), su alcune questioni di interpretazione del diritto eurounitario in materia di rimedi esperibili da un’impresa avverso l’esclusione da gare pubbliche – ha pure rilevato come “l’ampiezza del contenzioso pendente dinanzi alle Sezioni Unite, avente ad oggetto l’impugnazione di sentenze del Consiglio di Stato in controversie vertenti sull’applicazione del diritto dell’Unione, attesta un grave stato di incertezza sull’ambito della tutela giurisdizionale dei diritti dei cittadini riconosciuti dal diritto dell’Unione e sulla stessa portata ed efficacia di tale diritto”.
Il cuore della questione che i giudici del Lussemburgo dovranno affrontare è dunque quello del possibile “diniego di giustizia” che nasce dal contrasto fra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato a proposito del restringimento della Potestas Judicandi di Quest’ultimo di fronte alla verifica che la stessa Cassazione è chiamata a compiere ogniqualvolta si faccia questione di un contrasto fra norme nazionali e norme sovranazionali.
È questione, come si vede, che nasce dalla confusione dei confini che troppo spesso accompagna la distribuzione dei compiti che ciascuna giurisdizione ritenga le sia stata assegnata: una confusione che non riguarda solamente i rapporti fra giustizia ordinaria e giustizia amministrativa, ma che si estende anche ad altre giurisdizioni, siano esse quella contabile, quella tributaria o quella sportiva (meno incerti sono invece i confini che dividono, dalle altre, la giurisdizione penale e quella militare; mentre incertissimi si mantengono tuttora i confini dei Tribunali delle acque, quali giudici speciali minori).
Una pluralità di organi giudicanti dunque, che – fra estensione degli ambiti giurisdizionali esclusivi dell’una o dell’altra autorità giudiziaria e clausole preclusive della retrocessione al primo giudice di una controversia, ove sia stata abbandonata la giurisdizione precedentemente adita – si risolve, per il cittadino, nella impossibilità di ottenere davvero giustizia, nonostante l’inequivocabile riconoscimento a lui attribuito a tal fine dall’articolo 47 della già richiamata Carta Europea (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale).
Com’era da attendersi, quell’Ordinanza ha riacceso il dibattito, mai sopito, sulla consistenza del potere – che la Corte di Giustizia avrebbe (o meno) – di interferire con l’organizzazione del nostro sistema giurisdizionale e, più in particolare del Suo potere di imporre a ciascuno degli Stati membri un giudice unico di nomofilachia almeno per le materie di rilevanza sovranazionale.
Ma il riaccendersi di tale dibattito sta facendo tornare alla ribalta ulteriori questioni mai sopite: basti pensare all’estensione, operata dalla Corte Costituzionale, degli ambiti esclusivi della giustizia sportiva per profili diversi dal mero risarcimento del danno subìto dagli atleti in conseguenza di decisioni ingiuste adottate nei loro confronti e quasi sempre supinamente avallate dai giudici sportivi, oppure alla interpretazione riduttiva che la Corte dei conti continua ad offrire a proposito della applicabilità – agli incolpati di danno erariale – delle garanzie previste dall’articolo 6 della CEDU sulle modalità di celebrazione delle udienze; basti pensare che tale ultimo Giudice è arrivato – per denegarne le garanzie – fino al punto di richiamare gli avvocati che ne invocassero l’applicazione al loro dovere di aggiornamento professionale in materia di rapporti fra pubblicità dell’udienza e misure governative adottate per contrastare la pandemia da COVID-19 (così Corte Conti, III Sez. Giur. D’Appello, 9 novembre 2020, n. 191, 17 e ss.)
Non possiamo, oggi, conoscere l’orientamento della Corte di Giustizia sui quesiti interpretativi a Lei posti dalla Cassazione; vogliamo però ricordare che il Giudice UE – a differenza di quello italiano – si sente vincolato dal principio del precedente (Stare Decisis) e, almeno sulle questioni che qui ci occupano, le sue pregresse decisioni si sono sempre mosse in una direzione tendente ad assicurare il primato del diritto eurounitario su quello dei singoli Stati membri.
Di più: quello stesso Giudice – nel riconoscere il diritto degli Stati membri ad organizzare i rispettivi sistemi giustiziali secondo i principi e le regole che Questi ultimi abbiano ritenuto più opportuni e confacenti alle proprie peculiarità e tradizioni – ha sempre e comunque guardato agli assetti giurisdizionali interni come a plessi da valutare come tali: ovvero nella loro unicità; il che vuol significare innanzitutto che gli eventuali conflitti sviluppatisi fra le diverse giurisdizioni mai potrebbero risolversi in occasioni di aggiramento o compressione dei diritti e degli obblighi che i Trattati attribuiscono alle persone fisiche e giuridiche le quali, all’interno dello spazio unico europeo, si rivolgano ad un qualunque giudice dello Stato di loro appartenenza per ottenerne tutela rispetto a determinate situazioni giuridiche soggettive di cui siano portatori e che assumano essere state lese.
Quest’ultima considerazione ci fa perciò riporre fiducia nel fatto che qualunque passo la Corte del Lussemburgo decida di muovere – rispetto a questo ennesimo conflitto fra Corte di Cassazione e Giudice Amministrativo di ultimo grado – sarà in favore del rafforzamento di quella “certezza del diritto” spesso relegata in un angolo del palcoscenico dai troppi attori che, quotidianamente, si agitano nel gran teatro della giustizia italiana.