Negli ultimi 40 anni l’editoria giornalistica è stato uno dei settori che ha subito il maggior numero di rivoluzioni tecnologiche. Quando ho cominciato a scrivere per un giornale c’erano ancora le Olivetti lettera 22, nelle rumorosissime tipografie piene di linotype si respirava il “profumo” del piombo fuso su cui i caratteri imprimevano le righe degli articoli. L’impaginazione era un’arte da cesellatori e si realizzava millimetro per millimetro su gabbie che erano grandi quanto una pagina di giornale: non erano ammessi errori.
Poi le vecchie tipografie lasciarono il campo a nuove tecnologie, l’impaginazione si fece sulle lastre, la stampa in offset. La vecchia macchina da scrivere fu soppiantata da strumenti elettronici e poi dai computer. La rivoluzione digitale, da 25 anni in qua ha stravolto il giornalismo che, soprattutto in Italia, ha colto con ritardo le sfide e le opportunità di questo nuovo paradigma.
Ora siamo n’era dell’intelligenza artificiale e della blockchain. Che ne sarà del giornalismo? Aldo Fontanarosa, brillante giornalista di lungo corso di Repubblica ci guida nel labirinto infinito di algoritmi che hanno invaso il terreno dei giornalisti.
In “Giornalisti Robot – L’intelligenza artificiale in redazione prove tecniche di news revolution”, Fontanarosa ci offre una vasta panoramica, dettagliata e anche documentata graficamente, della selva di strumenti creati dagli umani per gestire il mondo delle notizie sfruttando tutte le potenzialità degli algoritmi e del machine learning.
Così scopriamo che molti articoli sono già scritti da queste sequenze di regole che danno indicazioni precise al computer su come mettere insieme i testi e i dati che gli vengono forniti per produrre un ‘opera che un tempo era appannaggio esclusivo del giornalista. Questi spezzoni di software sono sempre più sofisticati, compongono ad una velocità impressionante, più di 500 parole al minuto, evitano le ripetizioni e tengono conto degli aggiornamenti.
Gli algoritmi non solo scrivono autonomamente ma individuano anche i temi di cui si parla di più, monitorano il gradimento degli articoli mano a mano che essi vengono scritti e pubblicati, li traducono in inglese con ricchezza di sfumature lessicali, organizzano e gestiscono immense banche dati di testi, dati, immagini e video dove vanno da soli a pescare ciò che occorre, producono grafici ed elaborazioni, elaborano titoli di articoli, esaminano decine di milioni di tweet al giorno per individuare eventi degni di essere notiziati.
La lettura del libro di Fontanarosa all’inizio sembra indurre al peggior pessimismo sul futuro del giornalismo degli umani ma poi volge sempre più in positivo quando si scopre che gli algoritmi creano dei semilavorati che il giornalista può rifinire come vuole, alleggeriscono le redazioni da lavori di routine e liberano enormi risorse professionali e di tempo che possono essere dedicate alla ricerca originale di notizie e alle inchieste, grandi assenti nel panorama editoriale italiano.
In fondo, questi algoritmi non sono mostri che si cibano di giornalisti… ma solo ubbidienti e non stupidi strumenti che offrono ulteriori potenzialità ai giornalisti e li obbligano a dedicarsi ad un lavorìo di alta qualità e a tenersi sempre sintonizzati con l’imprevedibile evoluzione tecnologica digitale. Il giornalismo investigativo può trarre grandi benefici dagli algoritmi, il contrasto alle fake news può diventare sicuramente più efficace e del pari possono essere contrastate le tendenze alla faziosità.
Insomma, si apre un mondo nuovo che obbliga i giornalisti ad essere non solo multimediali ma anche ad acquisire una mentalità informatica specifica per la loro professione. Non c’è nulla di meglio per un giornale che costruirsi insieme ai suoi giornalisti gli algoritmi-maggiordomi che gli servono per rendere il lavoro dei professionisti ad alto valore aggiunto, sempre più preciso, ricco di informazioni, dati e stimoli che vengono dalla conoscenza di ciò che si agita nel web.
L’ultima frontiera di questa vorticosa evoluzione è l’applicazione del metodo di certificazione blockchain alla produzione di notizie e testi giornalistici per registrare in maniera incancellabile il vero autore del testo, rendere controllabile se si tratta di un giornalista iscritto all’Ordine e sottoposto al rispetto di regole, evitare le manipolazioni e le falsificazioni dei pirati del web.
Insomma il futuro del giornalismo è più roseo ed eccitante di quello che sembra e solo in apparenza è meno romantico e fascinoso. Nessun gelido insieme di formule informatiche, per quanto sofisticate e applicate da machine learning, potrà mai sostituire l’artigianalità e la creatività del giornalista le cui responsabilità aumenteranno proprio perché l’algoritmo-maggiordomo non gli darà tregua e, fingendo di stare ai comodi del giornalista, finirà per stimolarlo continuamente e togliergli qualsiasi alibi.
Dobbiamo essere grati a Fontanarosa per averci regalato in maniera chiara e problematica questo atlante dell’intelligenza artificiale che costringerà il giornalismo ad essere sempre più reale.
Giornalisti robot – L’intelligenza Artificiale in redazione – Prove tecniche di news revolution – Ulisse aspetta Penelope editore 2020