Niente di fatto per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. La doccia fredda arriva dai sindacati e per ora spegne gli entusiasmi di Federmeccanica che aveva messo sul piatto della trattativa 65 euro in più al mese. Troppo poco per i sindacati che invece chiedono un accordo complessivo, su aumenti, orario di lavoro, sicurezza, ammortizzatori sociali, formazione e innovazione. A parlare è Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil “Nell’incontro per la ripresa della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici”, osserva Re David, “Federmeccanica e Assistal hanno presentato una loro proposta complessiva, dopo un anno dall’inizio della trattativa e dalla presentazione della nostra piattaforma. Le distanze sono ancora molto ampie e la trattativa non può prescindere dalla piattaforma presentata da Fim, Fiom, Uilm che è stata approvata dalle lavoratrici e dai lavoratori. Una piattaforma con al centro l’aumento dei minimi salariali dell’8%”.
La proposta di Federmeccanica e Assistal prevede una cifra nel complesso di 65 euro, e per la segreteria della Federazione italiana operai metalmeccanici è un primo passo avanti ma non basta. “La proposta di un aumento salariale con l’esplicitazione di un importo è una novità positiva”, fa presente, “ma resta inadeguata nella forma e nelle quantità, l’inquadramento è un tema da tempo da noi proposto, come gli altri elementi posti in piattaforma.La questione del salario è un on/off”. La segretaria generale Fiom-Cgil sottolinea come sulle questioni economiche va trovata se si vuole l’accordo complessivo sul contratto, un percorso che prevede tappe ravvicinate.
“Se non ci sono le condizioni per rispondere alla richiesta salariale andranno trovate”, propone Re David, annunciando che sono stati fissati i prossimi incontri, “in delegazioni ristrette il 1, 2 e 3 dicembre per poi fare una riunione plenaria il 9 dicembre”.
Se con Federmeccanica la partita è aperta, su un altro tavolo quello tra Governo e ArcelorMittal ex Iva, per il rilancio della siderurgia a Taranto, la Fiom-Cgil punta i piedi “Noi ci siamo e con noi dovete fare i conti”, puntualizza la segretaria Re David, “Tra pochi giorni ci troveremo di fronte di fatto ad una nuova società con il perfezionamento dell’accordo tra Governo e ArcelorMittal. La nuova società sarà partecipata per il 50% dal capitale pubblico dello Stato. L’ingresso e la partecipazione dello Stato attraverso Invitalia non possono essere semplicemente una decisione di natura finanziaria. È indispensabile che lo Stato assuma un ruolo e una funzione di indirizzo e di controllo nelle scelte strategiche di politica industriale del gruppo”. Nel merito della trattativa la segretaria nazionale della Fiom è chiara. “Non vorrei che si pensasse”, commenta “che abbiamo fatto una trattativa di un anno con il vincolo occupazionale e zero esuberi con un’azienda privata e che ora si possa trattare gli esuberi con un’azienda per metà pubblica. Anche perché a noi non è arrivata nessuna disdetta dell’accordo sindacale firmato al Mise il 6 settembre del 2018”. L’accordo del 2018, infatti, prevedeva 10.700 occupati subito e la clausola di salvaguardia occupazionale con il rientro dei 1700 lavoratori in amministrazione straordinaria entro il 2023.
“Troviamo inaccettabili l’atteggiamento del Governo e anche il comportamento dell’azienda”, sottolinea polemica la segretaria generale della Federazione dei lavoratori metalmeccanici, che con disappunto fa presente, “C’è una totale mancanza di rispetto nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori e nei confronti delle organizzazioni sindacali.
In Italia le multinazionali non rispettano gli accordi, gli unici che rispettano gli accordi sono le lavoratrici e i lavoratori, che oggi hanno scioperato con un’altissima adesione e dato vita a presidi negli stabilimenti del gruppo, a cui sono pervenute manifestazioni di solidarietà di tutti i sindacati europei dei Paesi in cui sono presenti impianti di ArcelorMittal”. Infine una nota di allarme.
“Siamo preoccupati per un possibile slittamento sui tempi, probabilmente al 2025, e siamo di fronte ad una trattativa tutta da fare”, conclude Francesca Re David, “Chiediamo un cronoprogramma preciso degli investimenti in grado di accelerare le ricadute positive in termini ambientali, industriali e occupazionali”.