venerdì, 17 Gennaio, 2025
Società

Un garbato “invito all’unità” del Presidente Sergio Mattarella alla Nazione nell’intervento in videoconferenza alla XXXVII Assemblea annuale ANCI

Non si finisce mai di conoscere e di apprezzare le infinite qualità della più alta carica della nostra amata Italia, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. 

Alcuni, credo, conoscano di Lui un pezzo di storia personale e familiare, specie per l’uccisione del fratello Piersanti il 6 gennaio del 1980, altri quella professionale, quale giurista, accademico ed avvocato, altri ancora quella politica, molto intensa e diversificata in qualità di Parlamentare e di Ministro dei Rapporti col Parlamento, nonché della Pubblica Istruzione e della Difesa, nell’arco temporale dal 1983 al 2008; mentre dal 2009 al 2011 ha fatto parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, di cui è stato Vice Presidente e dal 2011 giudice della Corte Costituzionale, nel cui incarico vi permane fino al 31 gennaio 2015, data della sua elezione a Presidente della Repubblica. 

Poche persone, forse, conoscono del Presidente Mattarella le qualità umane, quelle genuine ed autentiche raccontate, casualmente, dallo stesso Mattarella e, quasi certamente, senza neanche  accorgersene.

Le sue eccelse qualità stanno scritte nel suo stesso intervento che, dal Palazzo del Quirinale, il 17 novembre ultimo scorso (2020), alla sessione di apertura della XXXVII Assemblea annuale ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), ha pronunciato, in videoconferenza ed in diretta TV.

Non era indirizzato ai soli rappresentanti dei Sindaci dei Comuni italiani, ma all’intera Nazione, a ciascuno di noi. Egli ha parlato, con una meticolosa profondità di particolari  e con una sensibilità umana indescrivibili, quest’ultima molto evidente nella sua voce. Ha distribuito consigli ed espressa dolorosa partecipazione di sentimenti per la pandemia che ci ha travolto, seminando scompiglio e morte. Ha parlato con il linguaggio del buon padre di famiglia verso i figli, come parla il nonno distribuendo consigli ai propri nipoti, come il fratello maggiore che si prende cura  dei suoi germani più piccoli, come un amico sincero.

Ma nel suo discorso c’è molto di più; si potrebbe definire un Manifesto politico programmatico, nel quale è minuziosamente detto chi eravamo, chi siamo, chi saremo e per fare cosa, singolarmente e collettivamente; ha parlato ai Responsabili delle Istituzioni, a tutti i  Rappresentanti della Nazione, a tutti i livelli, dal grande snodo al borgo disagiato, riconoscendo l’altruismo di tutti coloro che si sono prodigati, ricordando quelli che si sono immolati durante l’epidemia – purtroppo ancora tra noi -, e riconoscendo all’Unione Europea la sua sensibilità nello stato di bisogno.

È davvero opportuno, per non dire necessario e doveroso, riportare, benché non breve, il testo integrale dell’intervento del Presidente Mattarella per fornire un servizio di informazione completo e veritiero, che possa raggiungere quante più persone possibili e ne rimanga traccia, sempre disponibile, anche sul quotidiano politico-culturale fondato da Alcide De Gasperi, per l’autorevolezza della fonte e per il prezioso contenuto che tocca tutti gli aspetti della vita sociale, politica, economica, culturale e di identità di noi concittadini.

“Rivolgo un saluto di grande cordialità al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente della Regione, alla Sindaca di Roma, al Presidente dell’ANCI Lazio.

Ringrazio il Presidente Bianco, ringrazio il Presidente Decaro per l’invito. Rivolgo a lui un saluto particolarmente cordiale e, attraverso di lui, a tutti i sindaci d’Italia.

Le modalità di questa assemblea sono anch’esse un segno delle difficoltà che stiamo affrontando, ma allo stesso tempo esprimono la comune volontà di andare avanti, di contrastare l’epidemia, di consolidare le reti di reciproco sostegno, di porre le basi per la ripartenza del nostro Paese.

Come il Presidente Bianco ha avuto poc’anzi la cortesia di ricordare, in questi anni del mio mandato sono sempre stato presente all’assemblea dell’Anci, e vi tenevo ancor più quest’anno.

Avete scelto come tema: “L’Italia al passo dei sindaci”: ne risulta evocata una constatazione e, insieme, un auspicio. Avete camminato molto in questi mesi tra i vostri concittadini colpiti, condizionati, allarmati dal diffondersi del contagio. Il “passo” degli amministratori locali, a partire da quelli dei Comuni più piccoli, si è rivelato una risorsa quanto mai preziosa per l’intero Paese.

Siete stati il presidio più prossimo ai bisogni immediati delle persone, delle famiglie, delle attività imprenditoriali e commerciali in affanno. I Comuni e i loro servizi sono divenuti il primo punto di riferimento e il primo supporto; hanno consentito al sistema delle istituzioni di stare accanto a quanti chiedevano aiuto; hanno contribuito ad arginare le conseguenze sociali della crisi sanitaria.

Si è posto in azione un capitale di risorse, di esperienze, di capacità, che dobbiamo alla dedizione con cui tante donne e tanti uomini, come amministratori, pongono al servizio della cittadinanza intelligenza ed energie e lo dobbiamo alla tradizione autonomistica del nostro Paese, che nasce  dal sentirsi comunità nell’ambito municipale.

I Comuni hanno affrontato – e stanno affrontando – un sovrappiù di sfide, di aggravi e di responsabilità. Nei confronti di chi li guida, e di chi svolge al loro interno ruoli di opposizione, desidero manifestare sentimenti di riconoscenza, che so essere condivisi dai nostri concittadini.

Gli esempi, poc’anzi ricordati dal Presidente Decaro, sono rappresentativi, emblematici di tanti comportamenti generosi da parte dei sindaci.

Un pensiero commosso rivolgo ai sindaci, agli assessori, ai consiglieri comunali – purtroppo non pochi – che hanno perso la vita a causa della malattia da Covid e che, fin quanto hanno potuto, hanno continuato ad impegnarsi per organizzare al meglio la vita nel paese o nel borgo, per rassicurare le persone, per affrontare le improvvise e impreviste difficoltà.

Non dovremo mai dimenticare il dolore delle tante vite spezzate. E dovremo sempre esprimere riconoscenza per l’impegno generoso, e sovente instancabile, di tanti medici, infermieri e addetti alle varie funzioni della sanità: la considerazione nei loro confronti è massima, come lo è stata nel corso della prima fase dell’epidemia.

Questo virus è ancora in parte sconosciuto, ma, tra gli altri aspetti, ci rendiamo conto che tende a dividerci. Tra fasce di età più o meno esposte ai rischi più gravi, tra categorie sociali più o meno colpite dalle conseguenze economiche, tra le stesse istituzioni chiamate a compiere le scelte necessarie – talvolta impopolari – per ridurre il contagio e garantire la doverosa assistenza a chi ne ha bisogno.

Il pluralismo e l’articolazione delle istituzioni repubblicane sono e devono essere moltiplicatori di energie positive, ma questo viene meno se, nell’emergenza, ci si divide.

Dobbiamo far ricorso alle nostre capacità e al nostro senso di responsabilità, per creare convergenze e collaborazione tra le forze di cui disponiamo perché operino nella stessa direzione. Anche con osservazioni critiche, sempre utili, ma senza disperderle in polemiche scomposte o nella rincorsa a illusori vantaggi di parte, a fronte di un nemico insidioso che può travolgere tutti.

La libertà rischia di indebolirsi quando si abbassa il grado di coesione, di unità tra le parti. È questo la prima responsabilità delle istituzioni democratiche, a tutti i livelli, e questa è la lezione che la pandemia ribadisce con durezza.

Vorrei parlare anche di un altro aspetto di questa dialettica, che talvolta può rimanere in secondo piano: quel che ciascuno di noi cittadini può e deve fare per la sua comunità.

Vi sono le norme, le ordinanze, le regole dettate e applicate dalle istituzioni. Ma, insieme, è necessario l’impegno convinto di ciascuno di noi. La responsabilità personale, che in larga misura abbiamo apprezzato nei mesi scorsi.

Dobbiamo, tutti, adottare i comportamenti di prudenza suggeriti: le mascherine, l’igiene, il distanziamento, la scelta di fare a meno di attività e incontri non indispensabili.

Non per imposizione, non soltanto per suggerimento o per disposizione delle pubbliche autorità ma per convinzione. Liberi, e per queste ragione appunto, responsabili.

Con senso di responsabilità verso gli altri e anche verso se stessi. Per  convenienza se non si avverte il dovere della solidarietà.

Nessuno si lasci ingannare dal pensiero  “a me non succederà”: questo modo di pensare si è infranto contro casi innumerevoli di disillusione, di persone che la pensavano così e sono state investite dal coronavirus.

Abbiamo dovuto – e purtroppo dobbiamo tuttora – piangere la morte di tante persone, di ogni età, anche tra i giovani. E non dobbiamo dimenticarcene, per rispetto nei loro confronti.

In questa occasione, desidero dunque rivolgere – questa volta attraverso i sindaci – un nuovo appello ai nostri concittadini perché ci si renda conto, tutti, della gravità del pericolo del contagio che sta investendo l’intera umanità, ovunque, mettendo in difficoltà e bloccando la normalità della vita in gran parte dei Paesi in tutti i Continenti.

In questi giorni i Comuni possono ricorrere al potere sindacale di ordinanza prevedendo disposizioni più puntualmente legate alle condizioni del loro territorio rispetto a quelle nazionali o regionali. La salute è un diritto fondamentale. Il dovere di difenderla richiede che non si esiti ad assumere le necessarie decisioni.

Proprio muovendo da questa esigenza si manifesta il bisogno di un più stretto raccordo fra i livelli di governo che sono impegnati a fronteggiare l’emergenza, così da non pregiudicare la coerenza complessiva delle azioni e delle strategie poste in essere.

In questo senso, è importante che i prefetti e i comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica sostengano – come avviene – i sindaci e le autorità sanitarie locali  nel garantire l’efficacia di misure di distanziamento e, dove richiesto, di chiusura di determinate aree.

Le difficoltà hanno provocato incomprensioni, che talvolta hanno reso ruvide le relazioni tra i diversi livelli di governo. Il principio di leale collaborazione istituzionale, che i Comuni conoscono bene e praticano – a partire dalla stessa Anci – resta la direttrice su cui costruire costantemente le linee efficaci per superare la crisi in atto, rifuggendo dalla tentazione di lasciare ad altri la responsabilità delle più difficili decisioni. La cooperazione e l’assunzione di responsabilità sono apprezzate dai cittadini e generano fiducia, perché tutti sanno che una partita come questa si vince soltanto insieme e che nessuno può pretendere di avere ragione da solo.

Di cooperazione abbiamo bisogno per superare l’emergenza sanitaria,  e ne abbiamo bisogno per ripartire progettando un domani sereno. E i Comuni, sentinelle della coesione – secondo la bella definizione dell’Anci – ne avvertono pienamente l’esigenza. 

I Comuni, storici fondamenti di prossimità, sono anche veicoli di innovazione nella vita amministrativa, sociale ed economica.

La pandemia ha modificato i ritmi della nostra vita, ha inciso su tempi e luoghi di lavoro e con essi sull’uso di spazi e infrastrutture, pensati e costruiti per altre esigenze. Appartiene alla Repubblica saper leggere i segni dei mutamenti, e saper creare i percorsi affinché gli obiettivi di libertà, giustizia, coesione sociale, che la Costituzione ci affida, trovino applicazione nel tempo nuovo.

Dobbiamo essere protagonisti del cambiamento, e non succubi degli eventi.

Ai Comuni, espressione delle rispettive comunità, compete la responsabilità di essere intelligenti artefici del loro futuro.

I nostri territori recano i segni della rivoluzione industriale, vissuta in particolare nel secondo dopoguerra, con tutto il loro portato sociale, compresi gli squilibri causati dalle migrazioni interne, dall’accelerato urbanesimo, dallo spopolamento di aree rurali e montane.

Negli ultimi decenni le innovazioni nel manifatturiero e nelle fabbriche hanno già largamente cambiato il volto delle città. Ora la pandemia ci sta abituando a nuove modalità di lavoro e di produzione, che pongono in discussione il modello degli addensamenti urbani per come li abbiamo conosciuti. In discussione è l’alta concentrazione di risorse umane, intellettuali e finanziarie in spazi relativamente ristrettì, per passare a una riorganizzazione residenziale su basi diverse che può interessare altri territori.

Anche l’offerta di servizi, pubblici e privati, cambia con il mutare della domanda. I nostri centri abitati sono, in realtà, creature viventi: nel corso del tempo crescono, si espandono, si assottigliano; si modifica la loro stessa vocazione prevalente. Da quanto sta avvenendo possiamo trarre la spinta per un rilancio e per un miglioramento del nostro sistema sociale.

I Comuni sono la frontiera di questa sfida che riguarda tutto il Paese. Le nuove economie, i nuovi modi di produzione e distribuzione, la rete dei servizi a cittadini possono essere ripensati per rispondere a bisogni sociali nuovi, evitando le diseconomie  che ereditiamo da modelli precedenti.

In questa prospettiva quei centri, e quelle aree interne, che non hanno partecipato adeguatamente alle precedenti fasi di sviluppo, e anzi ne hanno sofferto svantaggi, possono riscoprire e valorizzare tutto il loro patrimonio ambientale e culturale.

Le potenzialità sociali ed economiche di questi territori, per esprimersi appieno, hanno ovviamente bisogno di una progettualità regionale e nazionale.

Richiedono scelte eque e lungimiranti nella realizzazione – doverosamente veloce – della rete digitale, un miglioramento dei servizi di mobilità, una valorizzazione dei beni storici, artistici, paesaggistici, un deciso potenziamento dello stesso welfare di comunità, in modo da affrontare con una visione integrate i bisogni di cura e di assistenza.

Decisivo per la ripartenza del Paese, e per quell’idea di sviluppo sostenibile che l’Unione Europea ha deciso di porre al centro delle sue politiche, è ovviamente la digitalizzazione della Pubblica amministrazione, e dunque il potenziamento delle infrastrutture di comunicazione tra territori, tra enti, tra cittadini e servizi. Superare il divario digitale è oggi condizione per rispettare quel principio di  uguaglianza e quei diritti di cittadinanza, che sono garantiti dalla Costituzione.

Sarà la premessa di un rilancio anche economico, e una opportunità per tanti territori. E quindi una grande occasione per un Paese come il nostro, che ha proprio nelle diversità parte rilevante del suo grande patrimonio.

L’innovazione coinvolge, e coinvolgerà sempre più, anche i centri maggiori, le metropoli che sono agli snodi delle reti principali. Sempre più la qualità della vita, dell’aria che respiriamo, del lavoro che facciamo nostro, del tempo che liberiamo, incideranno sugli stessi indici di sviluppo. Così come già accade per la difesa della salute, che richiede rafforzamento della medicina territoriale, sostegno alla ricerca, crescita nella cultura  della prevenzione e stili di vita più sani.

Su questa direttrice si muove l’Unione europea, che si sta assumendo responsabilità importanti in questo passaggio storico e finalmente si mostra, come in altri momenti di crisi del Continente, all’altezza dei suoi compiti.

Il Recovery Plan segnerà i prossimi anni. I Comuni dovranno essere parte importante di questa ripartenza che può restituire alle giovani generazioni opportunità che rischiavano di venir meno.  È un contributo significativo quello fornito dall’Anci con “Città Italia”.

Investire bene vuol dire compiere scelte, guardando lontano e attuandole velocemente.

Il passo dei sindaci, come dite. Che devono rispondere al bisogno quotidiano dei cittadini, dare avvio a lavori e investimenti locali perché sono carburante essenziale in questa fase, e al tempo stesso progettare, senza egoismi di parte o territoriali – come ricordava il Presidente Decaro -, le grandi infrastrutture materiali e immateriali decisive per sospingere il Paese in una nuova stagione di modernità. Una modernità che vogliamo più sostenibile.

Stiamo fronteggiando una grave epidemia. Ma abbiamo davanti a noi anche una sfida storica e l’opportunità di ripensare quel che vogliamo essere.

All’impresa di riprogettare l’Italia siamo chiamati tutti, senza esclusioni. I Comuni di questa impresa, rappresentano motore essenziale.

Grazie per il vostro impegno e auguri.”

Il Presidente Sergio Mattarella ha scritto e pronunciato con le sue labbra le suddette parole destinate a rimanere pietre miliari nella storia della nostra cara Patria e nei cuori di ciascuno di noi, spronandoci a fare ognuno la propria parte perché, in sintesi, solamente uniti e combatti si è forti e si vince. 

Ha sottolineato che nella Costituzione ci sono tutti gli strumenti per attuare quanto è necessario per gli obiettivi di libertà, di giustizia e di coesione sociale, per una buona qualità della vita, dell’aria che respiriamo e del lavoro. Ha, infine, evidenziato che la rete digitale è importante ed urgente. Ai giovani uno stimolo specifico perché sappiano approfittarne.

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