Ogni giorno ha la sua pena, anzi la sua smentita. È ormai un rituale fastidioso aprire un giornale, vedere un Tg o un talk show e imbattersi in personaggi che smentiscono di aver detto quello che con tutta evidenza hanno affermato: come in uno spettacolo degno delle migliori commedie di Aristofane, fanno autosatira, ridicolizzando sé stessi.
A che categoria appartengono questi smentitori? Un po’ a tutte: politici di vari livelli, amministratori pubblici, servitori dello Stato, sindacalisti, intellettuali, scienziati, professionisti, manager, medici, gente comune e talvolta anche avvocati e magistrati che pure dovrebbero sapere che ogni parola è una pietra: scagliata male, diventa un boomerang e si abbatte inesorabile sul corpo di chi l’ha lanciata.
Cosa c’è dietro questa mania di smentire? Diciamolo senza infingimenti: o incapacità di comunicare il proprio pensiero o vigliaccheria.
Il principale alibi dietro cui si nascondono gli smentitori è scaricare la colpa sui giornali Sarebbero sempre i giornalisti che traviserebbero parole “dal sen fuggite” e darebbero la stura a polemiche infondate.
Questo alibi non regge quasi mai, per il banale motivo che i giornalisti riportano frasi virgolettate, cioè testuali, non inventate. Questo sport lo praticano in quel riprovevole genere giornalistico denominato “retroscena”, ma in quel caso non vengono mai smentiti dagli interessati.
Se un giornalista attribuisce a qualcuno una frase mai detta o la storpia alterandone il significato, la vittima di questa scorrettezza ha molti strumenti legali per far valere il suo diritto di rettifica e ottenere anche il risarcimento per i danni derivati da questo abuso.
Oggi, però, tutto è documentabile: telefonate, interventi pubblici, post sui social, chat, frasi dette fuori onda, in atmosfera conviviale e rilassata o percepite attraverso il labiale, interviste palesi o con telecamera nascosta, testi scritti su pezzi di carta fotografati anche a distanza. È facile accertare in tempi rapidi se siamo di fronte ad invenzioni dei giornalisti o a parole in libertà di cui uno disconosce, mentendo, la paternità.
Lo smentitore in prima battuta si trasforma in bugiardo: nega di aver detto quello che è riportato tra virgolette. Poi quando gli si fa notare che c’è la documentazione “probatoria” del suo eloquio, reagisce con nonchalance. Colto in flagrante, minimizza, non dà peso all’evidenza, come se dicesse “non vorrete mica credere alle vostre orecchie o ai vostri occhi?”.
Quando però le prove sono schiaccianti, tolgono allo smentitore l’alibi di scaricare la colpa sui giornalisti e fanno ricadere su di lui la responsabilità e la gravità di quello che ha detto, se ne vedono delle belle.
Non potendo più negare quello che tutti possono sentire, vedere o leggere, lo smentitore da bugiardo e superficiale si trasforma in esegeta di sé stesso: si arrovella in contorte interpretazioni come se il suo dire fosse un testo sacro o esoterico ricco di significati nascosti, bisognoso di una complessa ermeneutica. Un’arrampicata sugli specchi grottesca e umiliante con la quale lo smentitore pretende di nobilitare le sciocchezze dette e di cui forse, finalmente, si vergogna.
Quando anche questa fatica si dimostra inutile, il nostro eroe, divenuto nel frattempo un auto-smentitore, ricorre ad un’altra arma quella più offensiva: “è colpa vostra se non capite il mio reale pensiero e vi attaccate a poche misere parole”. Siamo all’epopea della vigliaccheria che diventa tracotanza e mancanza di rispetto per chi ascolta, legge o vede.
Il guaio è che tutti si ritengono grandi e infallibili comunicatori e quando dicono cose sbagliate o di cui poi sono costretti a vergognarsi si rifugiano in contorsioni che trasformano la smentita nella migliore conferma di quello che vorrebbero negare.
Un consiglio a tutti i personaggi pubblici e a coloro che rischiano di diventare tali loro malgrado: prima di parlare, pensate a quel che state per dire, chiaritevi le idee e cercate le parole giuste per dirlo, consapevoli che rimane traccia di tutto, e che telecamere e microfoni allentano pericolosamente i freni inibitori. Se vi scappa qualche parola di troppo non negate mai.
È meglio dire: mi sono espresso male, chiedo scusa, è colpa mia, vorrei solo precisare il mio pensiero, la prossima volta starò più attento all’uso delle parole. Diventerete giganti tra tanti nani smentitori.