Coraggio, perchè il meglio è passato visto che il mondo come l’abbiamo conosciuto resterà un ricordo per molto tempo, come sostiene Bill Gates? Oppure coraggio, perché il meglio deve ancora venire, se come sostiene il rettore della Luiss, Andrea Prencipe, “Non si parla più di ritorno alla normalità in questa pandemia, ma di costruzione di qualcosa di nuovo”?
Per Giulia Baccarin, ingegnere biomedico e imprenditrice, dipende “da quanto saremo bravi a reagire a questa crisi e a costruire futuro migliore”, ha sottolineato nel corso del suo intervento al Festival del Futuro conclusosi ieri a Verona.
Tuttavia, come per ogni processo di cambiamento, è il passaggio dal prima al dopo che inquieta perché si porta dietro una buona dose di instabilità e incertezza, due ingredienti alla base del disturbo post traumatico da amarezza (PTED).
Scoperto qualche anno fa da alcuni scienziati, questa sindrome sarebbe scatenata da fattori come licenziamenti, tensioni sul lavoro e più in generale da una condizione di precarietà. Il rischio connesso è l’esplosione della rabbia sociale.
Si tratta di un tema di stringente attualità, soprattutto alla luce degli ultimi dati comunicati dal Ministero del Lavoro secondo cui a perdere il lavoro tra Marzo e Giugno scorsi sarebbero state circa 118 mila persone, donne in testa.
Per cui la domanda è: siamo sicuri che andrà tutto bene? Dipende. Come suggerisce un recente studio realizzato tra gli altri da Gordon Betcherman, dell’Università di Ottawa, e dall’Italiano Mauro Testaverde, ricercatore presso la Banca Mondiale, la crisi scatenata dal Covid -19 ha profondamente colpito l’occupazione ovunque e, data la natura della pandemia, i modelli per la gestione degli shock del mercato del lavoro dovranno offrire un supporto esteso.
Due quindi le strade: la prima è quella di proteggere il lavoratore attraverso interventi assistenzialisti di sostegno al reddito; la seconda, quella del mantenimento del lavoro il lavoro ovvero mitigare la disoccupazione su larga scala nel lungo periodo.
Le due soluzioni, tuttavia, vanno combinate perché mentre la prima offre riparo nel breve, la seconda prepara il terreno per il lungo periodo. Per cui, se fare leva solo sullo strumento dei sussidi rischierebbe di rendere i lavoratori miopi di fronte alla necessità di farsi trovare pronti con nuove competenze quando queste saranno richieste dal nuovo mercato del lavoro, tuttavia, non fare ricorso ai sussidi significherebbe ridurre la capacità di ripresa del sistema nel breve.
Insomma, se è vero che la tecnologia offre incredibili opportunità, il tema di fondo è l’attenzione al capitale umano. Ovvero, come ha ricordato dal palco del Festival del Futuro Carlo Ferraresi, CEO di Cattolica Assicurazioni, “Per crescere il Paese ha bisogno di investire sul capitale umano”.
D’altronde, come scrivono gli esperti di business Gary Hamel e Michele Zanini nel loro ultimo libro, Humanocracy: “Siamo definiti dalle cause che serviamo. La nostra identità si scopre nelle sfide che abbracciamo. (…) Siamo nati per risolvere nuovi problemi e forgiare nuove strade”. Siamo capitale umano.