Andrea Rotondo, Presidente di Confartigianato Roma lo ha ricordato in più occasioni: “siamo una società che non tutela abbastanza le persone fragili, ma siamo anche in un contesto economico che è diventato drammatico per molte imprese, soprattutto se piccole e legate a una forza lavoro di persone che non sono più giovani”. Proprio Confartigianato Roma ha proposto in sintonia che le indicazioni nazionali della Confederazione una serie di attività a sostegno di ambiti socioeconomico e sociosanitario per arginare solitudine, crisi economica, ed emarginazione.
C’è un obiettivo che Confartigianato Roma persegue, quello di riallacciare le fila di settori produttivi e piccola impresa, per permettere a tutti di avere un orizzonte di crescita. La speranza concreta è quella di una ripresa nel 2021 che non deve trovare le imprese impreparate. Di emergenze, di attualità, di piani di rilancio e di futuro parliamo con Andrea Rotondo.
Presidente, Andrea Rotondo cosa la preoccupa di più: l’emergenza sanitaria, o la crisi di migliaia di piccole imprese?
“La prima volta il Coronavirus ci ha sorpresi, la seconda, mentre ci compiacevamo della nostra bravura, ci è esploso tra le mani. Ora si punta sul vaccino come soluzione a breve termine ma sarebbe l’ennesimo errore. Anche se andasse tutto per il meglio, serviranno molti mesi prima di arrivare a proteggere l’intera popolazione. Negli ultimi anni è stata fatta la scelta di disinvestire nella sanità: nel 2009 il sistema sanitario nazionale valeva il 7,3% del Pil, dal 2010 al 2019 l’investimento si è ridotto fino ad arrivare al 6,4 %. Un processo che ha riguardato sia il pubblico che il privato. Un dossier del 2019 della Fondazione Gimbe ha quantificato i tagli tra il 2010 e il 2019: circa 37 miliardi di lire. Pensiamo anche alla riduzione dei posti letto. La legge 135/ 2012 e il regolamento attuativo hanno ridotto i posti letto ospedalieri a 2,7 per ogni mille abitanti. Il valore più basso in Europa: la media è 4. Mancano inoltre figure professionali come anestesisti, neonatologi e ostetrici. Non parliamo poi delle terapie intensive. La regionalizzazione della sanità avrebbe dovuto aumentare l’efficienza del sistema grazie alla vicinanza fra le strutture sanitarie e il governo regionale, avrebbe dovuto ridurre i costi e trovare un equilibrio con le esigenze di una popolazione sempre più anziana. Il modello regionalista costa, nel 2020 al fondo sanitario nazionale 110 miliardi. Una gestione sì regionale ma con fondi statali. L’ininterrotta stagnazione della ricchezza prodotta in Italia si è trasformata di conseguenza in una diminuzione della spesa sanitaria che è diventata evidente nel momento in cui è scoppiata un’emergenza. Rivedere gli stanziamenti a favore della sanità è possibile solo invertendo il declino economico dell’Italia. Il dramma della sanità pubblica, che stiamo “scoprendo” a causa del Coronavirus, purtroppo vale anche per l’istruzione ed i trasporti. Senza la valorizzazione del nostro “fare impresa” sarà improbabile fermare il declino del nostro paese e quindi tornare ad investire in questi settori strategici”.
Cosa pensa degli incentivi previsti dal decreto “Ristori”, cosa bisogna fare di più per ridare fiducia a quei settori produttivi che oggi sono sull’orlo di chiusure o ridimensionamento di attività e personale?
“Al fondo perduto previsto dal nuovo Dpcm andranno diversi miliardi, comprese le risorse destinate alla cassa integrazione. L’importo viene calcolato applicando un coefficiente (diversificato a seconda del codice Ateco dell’attività) all’importo determinato secondo i criteri individuati dal decreto rilancio. Il nuovo contributo non concorre alla formazione della base imponibile dell’Irap né delle imposte sui redditi. In sintesi, per calcolare il contributo, è necessario: determinare la differenza tra il fatturato e i corrispettivi conseguiti ad aprile 2019 e quelli relativi allo stesso mese del 2020; applicare a tale valore una percentuale variabile a seconda dell’ammontare complessivo dei ricavi o compensi realizzati nel periodo d’imposta precedente a quello in corso al 19 maggio 2020; rivalutare il risultato applicando i nuovi coefficienti contenuti nel decreto ristori.
Calandoci nella realtà della nostra capitale, il contributo vale in media circa 5.000 euro. Considerando gli operatori nella fascia più bassa di ricavi (fino a 400mila euro) gli aiuti medi sono, ad esempio, quasi 3000 euro per i bar, poco più di 5000 euro per i ristoranti e i cinema e 4.000 euro per le palestre. Gli importi arriveranno direttamente sul conto corrente a chi ha già beneficiato della prima tornata di aiuti. Gli altri (chi ha ricavi oltre i 5 milioni di euro annui era stato escluso dall’aiuto precedente) dovranno fare domanda secondo tempi e metodi dell’Agenzia delle Entrate. In base ai dati 2019, quasi il 90% delle gelaterie e pasticcerie hanno ricavi inferiori a 400mila euro annui. Il volume d’affari mensile di queste realtà raggiunge in media 9000 euro. I ristori arriverebbero a coprire solo il 30% delle entrate di una mensilità. Ristoranti e Bar copriranno intorno al 35% dei ricavi mensili.
Il ristoro risulta oggettivamente limitato ma a pesare ulteriormente è l’assenza di un’azione di sistema che ripensi definitivamente, uscendo dalla logica del mero rinvio, le problematiche quotidiane di una qualunque attività d’impresa, come, ad esempio, le scadenze cumulative per quanto concerne la contribuzione dei dipendenti, l’IVA arretrata o la modalità di sospensione degli accertamenti e delle notifiche. Infine una breve parentesi sulle aziende che hanno iniziato nel 2019 le loro attività. L’esiguità del fondo perduto non potrà mai bastare a coprire l’esigenza finanziaria di periodo, mentre i finanziamenti con la garanzia del Fondo Centrale, sono serviti esclusivamente a pagare imposte e contributi arretrati. Irrealizzabile, quindi, l’immissione nel circolo finanziario aziendale per fronteggiare la crisi nell’immediato o per il pagamento delle forniture”.
Se la pandemia alleggerirà la sua presa, e se da gennaio ci sarà il vaccino, che scenari produttivi possiamo prevedere per la prossima primavera? Ci sarà la ripresa economica tanto auspicata?
“La nostra economia da almeno quindici anni è caratterizzata da bassa crescita e produttività stagnante. Il rimbalzo registrato nel terzo trimestre dell’anno (16,1%) rispetto al rosso del secondo trimestre (-12,4%) dà speranze sulla nostra capacità di ripresa, a patto che le nuove restrizioni siano limitate nel tempo. Però l’occasione da non perdere è quella di rimuovere immediatamente tutto ciò che frena la crescita: scarsa efficienza del pubblico, della giustizia, l’alta tassazione, le storture amministrative che bloccano gli investimenti, l’arretratezza della ricerca e della formazione, compresa quella professionale. A fine 2020 il debito pubblico arriverà a circa il 160% del Pil e, ad aggravare la situazione, si aggiungeranno i ritardi sul bilancio 2021-2027 e sulla Next Generation Eu.
Purtroppo non si intravede né una pianificazione per adeguare le infrastrutture del Paese e ricapitalizzare le aziende delle filiere più attive, né il sostegno alla domanda e agli investimenti interni. Gli investimenti per la ripresa dovranno avere piani pluriennali credibili. Ad esempio, la costruzione o l’ammodernamento di infrastrutture, gli interventi su sanità e scuola, dovranno avere come base una governance dotata di procedure e poteri straordinari. Disperdersi tra diverse amministrazioni, condurrà al destino dei fondi strutturali, dove la regola è il mancato impegno di spesa. Infine, qualunque sia il soggetto responsabile, questo dovrà necessariamente concertare gli interventi con le principali parti sociali, affidando monitoraggio e valutazione dei risultati a soggetti al di fuori della pubblica amministrazione”.
Presidente Rotondo, infine, Lei si è mostrato in questi mesi fiducioso, ha lavorato per arginare la crisi e dare un segnale di coesione alle imprese. È sempre fiducioso che sarà possibile uscire dal tunnel?
“Secondo i recenti dati della nostra Camera di Commercio, sono 55.803 le imprese romane colpite dalle ultime restrizioni. Restando in zona gialla, l’economia della città potrebbe perdere circa 290 milioni di euro. Se Roma fosse dichiarata zona rossa subirebbero restrizioni altre 29.691 imprese, per un totale di circa 85 mila aziende, con 156 milioni di perdite aggiuntive. Situazione pesantissima. E con la criminalità in agguato priva di problemi di liquidità. La nostra associazione ha immediatamente reindirizzato gli obiettivi legati alla rappresentanza contrattuale e istituzionale, rafforzando la bilateralità, i servizi di accesso al credito e l’offerta di strumenti di finanza agevolata. I nostri interventi sono stati divisi in misure per l’emergenza e per la ripresa cercando di essere ancora più incisivi. Abbiamo lanciato una piattaforma per trasformare i crediti d’imposta in liquidità e un servizio dedicato di trasferimento tecnologico. Tutto questo basta a ripartire velocemente? La risposta naturalmente è no, se perdiamo l’occasione di immaginare ed attuare un cambio di paradigma nella visione collettiva di come fare impresa. Contributi e sgravi d’imposta da soli non possono essere risolutivi e pensare di supportare le imprese finanziariamente con garanzie sui prestiti erogati dal sistema bancario rivela una visione di brevissimo periodo. Le nostre imprese stanno dimostrando innovazione e capacità di adattamento ma il rischio di non farcela si fa sempre più concreto. Senza andare troppo lontano, in Europa possiamo trovare best practices che funzionano da diversi anni. Dalle politiche fiscali a quelle attive del lavoro, passando dagli interventi sul welfare contrattuale. Non è necessario inventare nulla. C’è già chi ha fatto meglio di noi. Dobbiamo solo copiare e portare burocrazia e corruzione ai livelli di un paese civile. Ma dobbiamo farlo ora”.