Tra le tante cause che possono favorire l’insorgere e il proliferare del populismo una delle principali si annida proprio nel cuore della democrazia. Essa non può funzionare se non esistono dei corpi intermedi che si occupano di organizzare il consenso, di offrire occasioni e luoghi – virtuali e reali – per dibattere i temi della vita collettiva, per elaborare visioni e programmi. Questi corpi intermedi normalmente sono i partiti.
La nostra Costituzione (art.49) gli affida il compito di far concorrere i cittadini, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale. In pratica, senza partiti democraticamente organizzati la democrazia è zoppa.
La norma costituzionale è di puro principio, non ha alcun carattere precettivo. Concetto Marchesi, che alla Costituente si oppose all’obbligo del riconoscimento giuridico dei partiti, voleva tutelare l’autonomia del centralismo sedicente “democratico” del partito comunista che di democratico aveva nulla o quasi. Buon senso avrebbe voluto che con legge ordinaria venissero comunque fissati i requisiti di democraticità interna che ogni partito dovrebbe avere. Ma nulla è stato fatto neanche quando i partiti divennero percettori di finanziamento pubblico. Qualche spiraglio è stato introdotto con la legge 9 gennaio 2019, n. 3 sulla trasparenza dei partiti e dei movimenti politici e delle fondazioni, con particolare riferimento al loro finanziamento. Ma nulla di più
Oggi i partiti sono ancora associazioni di fatto senza personalità giuridica. Cionondimeno i partiti nella Prima repubblica il loro compito lo hanno svolto abbastanza bene. Essendo organizzati, ramificati e presenti sul territorio – chi può dimenticare le mitiche sezioni di partito? – essi assicuravano la circolazione di idee, il confronto diposizioni, un minimo di selezione qualitativa della classe dirigente politica e aiutavano una formazione del consenso meno manipolata da strumenti esterni alla politica.
La cancellazione per via giudiziaria dei partiti (1992-1994) ha lasciato un enorme vuoto nel meccanismo di funzionamento della democrazia che è stato occupato, ma non colmato, dall’antipolitica iniziata in forma leggera con il primo Berlusconi e proseguita come un fiume carsico per 20 anni fino all’esplosione culminata nel successo dei 5 Stelle e della Lega di Salvini.
Il populismo è il frutto del male dell’albero avvizzito dei partiti: in assenza di organizzazione, di regole, di procedure si concede al capo o capetto di turno, dotato di abilità oratoria. mediatica e informatica, di agitare qualsiasi argomento senza sottoporlo al dibattito interno e ad un minimo di vaglio concreto con i cittadini. Il populismo scavalca il ruolo del partito e afferma lo strapotere del capo cui tutto viene concesso. Scompaiono i cittadini, gli iscritti e rimane solo il richiamo mitologico al “popolo” e ai militanti cui è concesso solo il diritto di applaudire e di seguire pedissequamente le prescrizioni del comandante di turno.
La distorsione più grave sta proprio in questo meccanismo: invece di avere partiti in cui si discute e in cui la partecipazione è più o meno garantita si hanno masse indistinte in perenne mobilitazione abbacinate dai comandi del capo. In assenza di partiti il populismo crea un circuito parallelo di distorta partecipazione alla politica: il capo populista soffia sul fuoco degli istinti meno controllabili del “popolo” e invece di guidarli verso una razionalizzazione e moderazione li esaspera, li cavalca con ebbrezza, divenendone poi schiavo al punto di non poter più tornare indietro. Si innesca così l’escalation che porta a trasformare gli avversari in nemici, a creare paure e fantasmi, a forzare le regole e asservire le istituzioni al disegno personale del condottiero orgoglioso della sua essere scorretto, sopra le regole e assetato di trionfi e acclamazioni.
In questo modo le democrazie si infettano e vengono corrose dal tarlo della loro “debolezza” e della “inutilità” di procedure sistematicamente violate dal capo e dai suoi scherani. In assenza di partiti democraticamente organizzati nascono pifferai magici che trascinano i Paesi nella rovina, in nome del popolo.