I contagi avanzano, scattano le chiusure e per la Federazione italiana publici esercizi, la situazione diventa insostenibile. A rivelarlo, dati sconfortanti alla mano è il Centro studi della Fipe.
Dopo il decreto del 18 ottobre arrivano le ulteriori ordinanze delle Regioni che impongono restrizioni di orari e di luoghi, sono un’ulteriore mazzata per il settore della ristorazione e dei bar, che con il lockdown e la lenta ripresa successiva ha già ha perso 24 miliardi di euro su 86 di fatturato e infatti il mondo delle imprese, del commercio e della ristorazione già ieri aveva reagito negativamente con una nota congiunta, ed ora di fronte a nuove restrizioni, l’annuncio che il 28 ottobre il mondo dei locali e dei ristoranti scenderà in piazza “per ricordare il valore economico e sociale del settore”.
“È il colpo di grazia su un settore già in ginocchio”, commenta il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani, “non so come ne usciremo. Stimiamo 470 milioni di perdita al mese per ogni mese in cui questa ulteriore limitazione dovesse riguardare le nostre attività”. A rafforzare il concetto espresso dal presidente, c’è l’analisi del Centro studi Fipe rivela che, tra lavoratori in cassa integrazione e contratti a tempo determinato non attivati, la metà degli 850mila dipendenti di bar e ristoranti non è stato impiegato nel corso dell’ultimo mese.
“Adesso i nodi vengono al pettine”, dice Stoppani, “e se si aggiungono ulteriori limitazioni, il quadro sarà ulteriormente peggiorativo. L’ordinanza della Lombardia non ci fa piacere perché appesantisce ulteriormente un settore che sta già scontando i gravissimi danni derivati sia dalla chiusura obbligata durante il lockdown e dalla lenta ripresa, che nel mondo del pubblico esercizio è condizionata sia dalla mancanza del turismo internazionale sia dall’ampio uso dello smart working, con le attività di ristorazione in generale che sono a regime al 50-60% rispetto alla fase pre-Covid”.
”Pensare di porci contro le ordinanze che sono lineari”, prosegue il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani, “nell’obiettivo di preservare ulteriori contagi sembra da irresponsabili ma non lo siamo. Rispettiamo i provvedimenti ma occorre fare due considerazioni. Pensavamo che dopo l’esperienza passata, in cui ci aspettava di convivere con la situazione sanitaria, la politica fosse capace di gestire la situazione senza ammazzare il sistema economico di questo Paese. Per quanto riguarda l’efficacia di questi provvedimenti, il mio è un giudizio di parte ma rinnovo delle perplessità”.
Per il presidente della Fipe a parlare sono i numeri: ”Se i contagi fossero nei ristoranti “, osserva Stoppani, “i numeri si sarebbero impennati molto prima di settembre. Anche il Tribunale di Berlino ha dichiarato di recente che non c’è correlazione tra l’aumento dei contagi e la frequentazione dei ristoranti. Accetto questi provvedimenti se sono accompagnati da misure compensative, come gli indennizzi per mancati fatturati”.
“Il settore”, critica Stoppani, “esprime disappunto nel fatto che sia inaccettabile e poco rispettoso che in un Paese civile ci siano quattro provvedimenti di limitazione delle attività di pubblico esercizio emanati nel giro di una settimana. Prima il dpcm di lunedì, poi l’ordinanza della Regione Lombardia che anticipava alle 18 la possibilità di somministrazione di cibo e bevande, poi il secondo dpcm di domenica scorsa e a seguire la seconda ordinanza di Regione Lombardia”.
“Bar e ristoranti”, conclude Stoppani, “chiedono solo una cosa: certezze. Tutti questi provvedimenti disorientano i consumatori azzerando quel poco di sentiment al consumo che ancora era rimasto”. Una nota particolare merita inoltre la situazione del Commercio in Campania. La Confcommercio ha criticato la decisione del coprifuoco deciso dal presidente della giunta regionale, Vincenzo De Luca. “Nei giorni scorsi centinaia di imprese hanno sospeso l’attività e tantissime altre di apprestano a farlo”, racconta il direttore di Confcommercio Campania, Pasquale Russo, “è una tragedia che colpisce soprattutto le piccole imprese ed i loro dipendenti, il cui futuro si presenta oggi assai più incerto rispetto alla prima fase della pandemia. In Campania sono attive oltre 150 mila imprese nei settori del commercio, della ristorazione e del turismo; di queste, oltre il 95% è costituito da piccole e microimprese che si ritrovano in una situazione ancora peggiore rispetto a quella del lockdown, con più debiti, meno incassi, e difficoltà finanziarie crescenti”.
“Se si considera che il terziario di mercato in Campania vale il 70% del PIL e l’85% dell’occupazione, appare chiaro”, calcola Russo, “quali potrebbero essere le devastanti conseguenze della bufera in atto. È sorprendente che, di fronte ad un’evoluzione così drammatica che potrà arrecare danni irreparabili alla parte più consistente del nostro sistema imprenditoriale ed occupazionale non vi sia stato alcun confronto sino ad ora con le categorie per un esame oggettivo sulla situazione e sulle misure urgenti da assumere”.
“L’invito a De Luca”, conclude Pasquale Russo, “è di attivare al più presto un tavolo di confronto, nel comune interesse alla salvaguardia del nostro tessuto imprenditoriale”.