Più si legge e più si approfondisce il nuovo Dpcm di Conte, meno si capisce la sua ratio. L’impressione che si ha è quella del “mare in un calice”, laddove il mare è la pandemia, incontrollabile; e il calice è il tentativo del governo di arginare qualcosa di sconosciuto e che non è in grado di gestire (visto il ritardo negli ospedali e non solo). E il risultato è né carne né pesce. Un insieme di misure che cercano di conciliare l’inconciliabile: salute e libertà, salute ed economia, aspetti politici, sanitari e psicologici. Con quest’ultimi che la fanno da padrone.
Sì, perché finora, la legittimazione alle strampalate risposte messe in campo, ha poggiato unicamente sulla paura degli italiani. E da questo punto di vista, la comunicazione di Conte, supportata dai tantissimi soloni in camice bianco, e da una flotta mediatica schierata a senso unico, è stata efficace.
D’altra parte le strade erano due: o il “modello-sovranista”, alla Trump, alla Bolsonaro, alla Johnson (prima che cambiasse idea), cioè il duello frontale col virus; o il modello prevalente da noi e in Europa, “lo Stato di polizia sanitario”, il subire il virus, con l’adesione dei liberali di casa nostra, un tempo assertori del primato della libertà, oggi rivelatisi sudditi convinti del “regime-Covid”. Due modelli che finora, va detto, non hanno portato a risultati concreti.
Cosa ha fatto di nuovo Conte con il Dpcm di ieri, ancora una volta proclamato urbi et orbi? La riproposizione delle “ricette della nonna”: distanziamento sociale (ordinati in fila), lavaggio delle mani (dovrebbe valere sempre), strumenti di protezione (la mascherina, nuovo simbolo religioso dalle non evidenze scientifiche); e l’estensione della “manopola”, trattare il virus a ore alterne, come se vivesse, si riposasse e riprendesse vigore a seconda dei desiderata dei governi: chiusura delle piazze e delle vie della movida alle 21,00 (patata bollente spedita ai sindaci), chiusura alle 24,00 dei ristoranti, con divieto di soggiornare davanti, ultimatum alle palestre (comunicazione con scadenza, alla Vanna Marchi), trasporti pubblici con percentuale di presenze confermata nel tetto dell’80%, possibilità di lezioni scolastiche in tarda mattinata o nel pomeriggio; sport da soli e non in compagnia.
Come dire, il nulla. Ma c’è un ma. È la strategia della “rana bollita” cui abbiamo più volte fatto riferimento. Conte sa benissimo che far ingoiare ai cittadini le misure della Finanziaria, il posticipo ormai irrimandabile di tutti i dossier economici e fiscali più delicati, e nello stesso tempo il Coronavirus, è una bomba a orologeria non da poco. E allora giocando insieme ai tecnici, i medici, i virologi (loro in attesa del vaccino salvifico), lui che vuole blindarsi al potere, ha scelto la gradualità (sembrando addirittura il pompiere rispetto all’ala dura, della maggioranza giallorossa, il Pd e Leu).
Una gradualità a tempo determinato. Inesorabilmente arriverà al lockdown totale a Natale, dopo aver sperimentato lockdown locali. È nella logica dei fatti. Con un’aggiunta, se prima dell’estate, gli italiani erano stati bravi a seguirlo, adesso (frase del premier), tutto dipenderà dai loro comportamenti. Tradotto, vuol dire, che se le cose andranno bene, sarà merito di Palazzo Chigi, se andranno male, sarà colpa degli italiani. E Conte ne uscirà sempre bene.
(Lo_Speciale)