La via di Damasco, in politica, è molto frequentata, in realtà più dai singoli parlamentari che dai partiti. Sono parecchi gli eletti dal popolo che vengono folgorati, anche più di una volta nel corso di una legislatura, e si convertono da un partito all’altro con gran disinvoltura. Molto raro è, invece, il caso di leader che imprimono un repentino cambio di rotta al loro partito sulla base di improvvise “illuminazioni” e cambi di orizzonti culturali radicali.
Il più significativo e promettente fenomeno di questo tipo è senz’altro Matteo Salvini. Il “Capitano”, reduce da una serie di non-vittorie e anche di sonore sconfitte, ha annunciato solennemente che intende innestare nel corpaccione della sua Lega nazionale una “rivoluzione liberale”.
Piero Gobetti avrà avuto un sussulto terribile nella sua tomba per l’uso di questa espressione che il brillante intellettuale e giornalista antifascista liberale 100 anni fa scelse come titolo della sua seconda rivista, nata nel 1922 e soffocata, per ordine di Mussolini nel 1925, un anno prima che le percosse dei fascisti, insieme ad una salute malferma, facessero spegnere la sua esistenza a soli 25 anni.
È improbabile che Salvini volesse far riferimento a Gobetti di cui difficilmente avrà letto le opere. Ma il suo nuovo consigliere, il professor Marcello Pera, ex Presidente del Senato, probabilmente gli avrà illustrato la portata di una tale affermazione.
È vero che, da quando, con la fine della Prima Repubblica, è scomparso il partito liberale e la cultura politica liberaldemocratica è entrata poco o nulla nella zucca dei nuovi o rinnovati partiti, c’è stato un abuso sistematico degli aggettivi “liberale” e “liberaldemocratico” da parte di chi tale non è mai stato e anche da parte di chi, addirittura, in passato aveva ferocemente combattuto contro i valori connessi con questi termini.
Ma tant’è. In politica bisogna essere elastici e se Salvini davvero è consapevole della portata di questa sua solenne dichiarazione bisogna prenderlo in parola. Ed augurarsi che davvero la faccia, questa “rivoluzione liberale”.
Certo, si tratta di una correzione di rotta di quasi 180 gradi e quindi audace e complessa, ma evidentemente il “Capitano” è sicuro di poter dominare il timone, le onde e i venti e quindi di riuscirci.
Di liberale nella politica recente e meno recente di Salvini c’è stato più nulla che poco. Il senatore Andrea Cangini, di Forza Italia, che di Salvini è alleata, si è posto alcune domande, retoriche: “Un liberale andrebbe mai al governo con un partito statalista e assistenzialista come il Movimento 5stelle? Un liberale voterebbe mai l’abolizione della prescrizione? Un liberale sosterrebbe mai il reddito di cittadinanza? Un liberale concepirebbe mai quota 100? Un liberale sovresporrebbe mai la carica di ministro dell’Interno? Un liberale potrebbe mai trovarsi a proprio agio nel gruppo europeo di Identità e democrazia? Un liberale si incamminerebbe mai lungo la Via della seta con la Cina? Un liberale andrebbe mai a braccetto con chi, Putin, dice che il “liberalismo è obsoleto”?
Salvini è alla ricerca di una nuova strategia per la Lega. È pressato dall’interno da Giorgetti e altri, che non hanno mai condiviso la linea oltranzista del segretario e dall’esterno da una base elettorale rappresentata da settori produttivi del Nord che non sanno che farsene del sovranismo, dell’antieuropeismo, della demagogia, del populismo, dell’esasperazione dei toni che hanno segnato i trionfi di Salvini ma non hanno prodotto nulla in termini di maggiore efficienza e competitività del sistema Italia sui mercati internazionali.
Salvini deve fare i conti anche con la concorrenza di Giorgia Meloni che viaggia intorno al 16% in crescita ed è diventata leader del Partito europeo ECR, che si chiama “dei conservatori e dei riformisti”, un ossimoro quasi da satira politica.
Ben venga questa rivoluzione liberale di Salvini. Dopo essersi rinfrescato le idee su cosa significhi veramente, ha due anni e mezzo di tempo, prima delle elezioni del 2023 per studiare, capire, progettare e riuscire a realizzare il miracolo annunciato più volte da Berlusconi ma rimasto solo uno slogan mediatico.
Due cose, però, Salvini le può e le deve fare subito per essere credibile: inviare due lettere, una a Putin con cui annulla l’accordo di amicizia tra la Lega e Russia Unita, il partito del Presidente russo che ha teorizzato (e messo in pratica a casa sua) la fine del liberalismo e un’altra missiva al suo amico autocrate Viktor Orbàn con cui gli chiede la riapertura della Central European University, centro di cultura liberale finanziato da Soros, ispirato alla filosofia liberaldemocratica di Karl Raymund Popper e fatta chiudere dal despota ungherese. il Prof. Pera che di Popper è studioso e si dice seguace potrà sicuramente dargli una mano.