giovedì, 19 Dicembre, 2024
Attualità

Il futuro del Mezzogiorno non è incompatibile col suo passato 

Tra i tanti ricordi che ho della mia permanenza alla Segreteria della Commissione bicamerale per il Mezzogiorno, alla Camera dei Deputati, uno in particolare mi è rimasto impresso nella memoria. Erano i primi anni Ottanta. Fu programmata un’apposita sessione, con all’ordine del giorno un parere su un piano d’interventi per il risanamento delle grandi aree metropolitane del Sud: Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo e Cagliari. Quando la discussione entrò nel vivo, s’incominciò subito a discutere dell’area metropolitana di Napoli. Fu in quel momento che l’onorevole Ugo Grippo, deputato napoletano della Dc, già assessore comunale e profondo conoscitore della sua città per essere stato ingegnere nel Corpo dei vigili del fuoco, si alzò e, rivolto ai suoi colleghi parlamentari, disse: “Signori miei, avete un’idea di quanti miliardi occorrono per risanare, non dico tutta Napoli, ma solo i quartieri spagnoli?” “No – risposero i suoi colleghi” “E allora – aggiunse Grippo – ve lo dico io. Per risanare il centro storico di Napoli ci vuole l’intero bilancio dello Stato”. Disse proprio così, l’intero bilancio dello Stato. Quest’episodio mi è tornato in mente, leggendo sul Corriere della sera, un bel resoconto su un dibattito svoltosi a Milano il 4 Ottobre scorso. Il tema, di grande attualità, riguardava la rigenerazione delle città, con particolare attenzione al lavoro, alla mobilità, alle relazioni e alle possibili connessioni con il suo hinterland. Tra i vari interventi mi ha colpito molto quello dell’architetto Stefano Boeri. Riferendosi, in particolare, agli scambi tra le aree metropolitane e il suo hinterland ha detto: “Le città devono stabilire contratti di reciprocità con i borghi vicini”. Eccolo qui un bell’argomento da studiare e approfondire. I contratti di reciprocità, le sinergie, le interdipendenze funzionali, possono essere applicate anche alle nostre aree interne del Mezzogiorno? In altre parole, i centri storici e i piccoli borghi del Sud possono fare sistema col resto del mondo? Possono essere inseriti nel circuito internazionale del turismo di qualità, nella nuova frontiera, molto ricercata dopo la pandemia, del turismo esperienziale, di quello culturale e religioso, lontano dal caos e dall’inquinamento delle grandi metropoli? Forse sarebbe troppo chiedere alla Comunità Europea di destinare parte del Recovery Fund alla rigenerazione dell’immenso patrimonio storico, artistico e culturale racchiuso nei centri storici del Molise, dell’Irpinia, della Basilicata, della Calabria, della Sicilia e della Sardegna. Altro che Bilancio dello Stato! Mamma Europa ci può dare molto, ma non potrà mai darci tutto. E allora, che dobbiamo fare? Rassegnarci al lento e inesorabile degrado di questa immensa ricchezza che la Storia ci ha donato? Assolutamente No! Un percorso però, le nostre regioni del Sud potrebbero individuarlo subito, anche in piena pandemia. Non è un discorso campato in aria ma un progetto che sta avendo successo in diverse regioni del Centro-Nord. Il progetto ha come finalità la rigenerazione di una parte essenziale del patrimonio storico-architettonico dei paesi e delle città del Mezzogiorno. Mi riferisco alle Dimore storiche, ai Palazzi Gentilizi, alle Masserie fortificate, ai tanti pregevoli casini di campagna che la nobiltà e la borghesia agraria del Sud possedeva nelle tenute e nei vasti fondi limitrofi. Perché mi permetto di dire che non si tratta di chimere o di un libro dei sogni? Perché altre Regioni hanno già raggiunto significativi traguardi su questo versante. Prendiamo, ad esempio, la Toscana. Esiste già da diversi anni una legge, (la legge 42 del 2000) che ha istituito la categoria delle Residenze d’Epoca, per antichi palazzi, ville e castelli e cioè l’Associazione delle Dimore Storiche italiane (Adsi). Ebbene, grazie a questa legge, in Toscana, le Residenze d’Epoca hanno superato quota 100 per un totale di circa 2000 posti letto. Le stime di quest’Associazione calcolano in poco meno di 400mila l’anno le presenze e in 61 milioni di euro il fatturato. Le tariffe sono vantaggiose in edifici di sicuro fascino, molto attraenti per un turismo esigente e di qualità.

Anche la Regione Lazio si è impegnata in questo settore. Con la legge regionale n. 8, del 20 giugno 2016, si è inteso investire sulle dimore storiche per la valorizzazione di questo ricco patrimonio: dimore nobiliari, ville, complessi architettonici, parchi e giardini di grande valore storico e culturale. Tralasciamo Roma, che per la sua bellezza è una città unica al mondo, ma nella Regione ci sono posti stupendi come le Ville Tuscolane, il Giardino di Ninfa, le residenze dei Farnese, il Castello Odescalchi e tanta, tanta bellezza nascosta nei suoi piccoli borghi. È stato anche istituito un Comitato di esperti con il compito di valorizzare e promuovere la fruibilità di queste dimore gentilizie e nobiliari oltre che dei parchi, delle ville e dei giardini di inestimabile valore. Sempre su questo fronte, si sta muovendo anche la Regione Basilicata. Un territorio che, oltre alla suprema bellezza di Matera, già Capitale europea della Cultura, può vantare un ricco patrimonio custodito nei suoi piccoli centri. Nei paesi della collina materana, penso a Bernalda, Pisticci, Montalbano, Ferrandina, Stigliano, Pomarico e Miglionico ci sono dimore storiche, palazzi gentilizi, masserie e casini di campagna bellissimi, ma, da molti anni, in piena e solitaria decadenza. Sarebbe un delitto se, dopo millenni di storia, fossero abbandonate a un triste destino. Nell’ottobre dell’anno scorso, a Matera, il Presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, partecipando a un convegno su beni culturali, ha annunciato la presentazione di un disegno di legge sulla tutela delle dimore gentilizie e sulla rinascita dei centri storici della Regione. Gli antichi palazzi – ha detto il Presidente Bardi- devono trovare una funzione moderna perché la storia non va solo vissuta ma anche raccontata. Per ogni sito dobbiamo costruire un momento di connessione pubblico-privato che non si fermi alle sole giornate del FAI”. Eccolo qua, il tasto su cui dobbiamo battere. Dovremmo inventarci una funzione moderna per questi palazzi antichi. E qui vorrei stabilire un collegamento tra quello che ha auspicato Boeri a Milano e quello che intende promuovere Bardi in Basilicata. I contratti di reciprocità, le sinergie, le interconnessioni sempre più possibili, specie dopo questa pandemia, tra mondo digitale e contesto territoriale, tra Regioni del Sud e resto del mondo. Penso a quello che ha realizzato a Erice, un comune di ventottomila abitanti, in provincia di Trapani, il Professor Antonino Zichichi. Ha realizzato il centro di cultura scientifica Ettore Majorana, luogo dove si organizzano incontri, convegni e congressi internazionali con la partecipazione di scienziati provenienti da tutto il mondo. E allora, superiamoli anche noi questi benedetti confini. Immaginiamo per queste dimore storiche altrettante sedi per Centri di ricerca internazionale, distaccamenti di società multinazionali, sezioni specializzate di Università italiane e straniere, alberghi diffusi per il turismo di qualità. Sono solo alcune delle possibili destinazioni che potrebbero avere questi belle e antiche dimore. Non solo musei ma luoghi dinamici, vitali, aperti alle grandi trasformazioni che le tecnologie offrono ai territori. Il nostro passato, se riflettiamo bene, è anche la nostra ricchezza. Nessuno intende contrastare o sminuire per il Meridione la fiscalità di vantaggio, le Zone economiche speciali, gli investimenti nella Green Economy e la banda larga estesa a tutto il territorio. Ci mancherebbe altro! Ma la nostra identità, la nostra storia, la nostra cultura è lì, scolpita anche in quelle pietre. Luoghi di vita e di memoria che resistono, da secoli, alla dura legge del tempo e dell’oblio. Un grande scrittore nonché Accademico di Francia e Premio Nobel per la Letteratura, Anatole France, riferendosi alla Storia, disse: “Non dobbiamo perdere nulla del passato, perché solo con il passato l’uomo può formare il futuro”.

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