La lunga strada per il piano di riforme da presentare all’Europa è iniziata. Per la verità di piani si parla da Aprile, col piano Colao, scritto non da politici o persone dell’Amministrazione ma da una squadra di tecnici di vari settori coordinata da un manager di livello internazionale. Quel piano fu rapidamente liquidato, anche da chi non l’aveva letto, come sei si trattasse di una tesi di laurea di promettenti studenti universitari.
Dopo il piano Colao abbiamo assistito per una settimana agli Stati Generali, una mega consultazione pubblica con sfilata di personaggi di varia levatura e risma che non pare abbia prodotto alcunché di testi da studiare ma solo emozioni e il senso di un afflato collettivo per affrontare il mostro della crisi. Ora siamo al dunque, ma non sarà neanche stavolta un passaggio lineare. Durante l’estate a tappe forzate il Ministero delle Politiche europee ha lavorato per raccogliere le proposte provenienti dai vari Ministeri: 405 progetti scritti tra le mura degli uffici dell’Amministrazione pubblica dove le competenze e la forma mentis dominante è più di tipo giuridico-formale e meno di carattere tecnico.
Un primo passo e niente di più, per ora. Ed è bene che sia così, perché l’elenco di progetti presentati sembra non avere una grande organicità ed è ispirato dall’obiettivo di ogni Ministero di accaparrarsi il maggior volume di risorse possibile.
Il 15 settembre la Commissione europea ha inviato le linee guida per redigere i piani nazionali. Il Governo quindi dovrà presentare i suoi progetti. Tra Gennaio e Aprile il Piano italiano sbarcherà in Europa ed entro 8 settimane sarà esaminato dalla Commissione che lo porterà all’approvazione dell’Ecofin che, a maggioranza qualificata, dovrà votarlo entro altre 4 settimane. Poi finalmente potranno cominciare ad essere erogati i primi fondi.
Il Governo ha inviato alle Camere 38 pagine e 32 slide come base di discussione per la definizione del Piano italiano di resilienza e ripresa. Si era parlato nei mesi scorsi di costituire una commissione speciale presieduta da un esponente dell’opposizione. Invece saranno le Commissioni ordinarie a lavorarci. In che clima?
Il problema è proprio questo. Dopo il voto nelle Regionali e sul referendum si avvierà una riflessione all’interno dei partiti e tra i partiti che potrebbe non essere indolore. In questo clima maggioranza e opposizione dovrebbero trovare in Parlamento un terreno comune per tirar fuori idee e non slogan, progetti concreti e non demagogiche declamazioni. Tutto questo si deve concludere entro il 15 ottobre quando poi inizierà la interlocuzione con Bruxelles e l’iter della legge di Bilancio, croce e delizia annuale per scontri tra governo e opposizione e scorribande di gruppi di interesse non sempre trasparenti che riversano senza alcuna mediazione politica le richieste nel calderone dell’abituale maxi-emendamento che sotto Natale porta all’approvazione del principale documento di politica economica e fiscale del Governo.
Questa è l’ora della responsabilità. Tutti i partiti dovrebbero rinfoderare le sciabole e usare il cervello. È un passaggio storico che non può essere affrontato con i parametri abituali di conflittualità fine a sé stessa. L’Italia deve tirar fuori le idee migliori per avanzare proposte credibili e per innescare un meccanismo virtuoso di crescita per il prossimo decennio. Se falliamo questa volta non ci saranno i tempi supplementari e un destino grigio di impoverimento si abbatterà sul nostro Paese.
Tocca innanzitutto al Governo dare un segnale di clima mutato e di disponibilità vera ad ascoltare l’opposizione senza umiliare più il Parlamento. Ma tocca anche all’opposizione decidere di “governare” non con slogan e contrapposizioni forzate ma con proposte praticabili e concrete.
Mai come adesso l’Italia ha bisogno di essere governata bene dalla maggioranza e dall’opposizione. Si dichiari una tregua almeno per i prossimi sei mesi e si lavori in clima di vera e grande solidarietà e unità nazionale.