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Patti e precarietà

venerdì, 18 Settembre 2020
1 minuto di lettura

Sembra più un segno di timore che di stabilità l’improvvisa iniziativa di Zingaretti di firmare con Conte un accordo che impegna le parti ad evitare come la peste qualsiasi rimaneggiamento della compagine di governo, anche nell’ipotesi di un risultato disastroso per l’attuale coalizione nelle ormai imminenti elezioni regionali.

Speriamo, per il senso delle istituzioni che ci viene dall’esperienza democratico cristiana, che questo documento sia allo stesso tempo segno di preoccupazione e di responsabilità, ma temiamo che così non sarà accolto da quanti, nel Pd, puntano al rimpasto né sanerà le divisioni laceranti che emergono nel Movimento 5 stelle.

È infatti proprio nella tumultuante falange pentastellata che si celano i maggiori rischi per la maggioranza e il governo: i fatti più recenti ci dicono che è in forte crisi l’assetto gerarchico basato sul consolato di Grillo e Casaleggio Junior ed è aperta la lotta fra governisti e movimentisti.

A questa area di conflitto interno sono poi da aggiungere, sempre per la maggioranza, le fibrillazioni interne al Pd che, sommate al nervosismo dei renziani, potrebbero anch’esse rendere puramente strumentale e retorico l’accordo siglato da Zingaretti.

Un effetto taumaturgico, su tutte queste tensioni, potrebbe averlo un’intesa su un programma forte e condiviso per attivare su obiettivi strategici i fondi straordinari, compreso quelli del MES, previsti dall’UE.

È questa l’ipotesi più praticabile perché le polemiche di oggi non diventino laceranti nei prossimi mesi.

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