Secondo i dati dell’ultimo semestre, pubblicati sulla piattaforma Eligendo della direzione centrale dei Servizi elettorali del ministero dell’Interno, il 20 e 21 settembre prossimi sono 51.559.898 gli elettori chiamati alle urne per il referendum costituzionale e 18.590.081 quelli per le elezioni regionali. Sei le regioni a statuto ordinario interessate (Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto) e una a statuto speciale (Valle d’Aosta).
Sono, inoltre, 467.122 i cittadini sardi chiamati a esprimersi circa le elezioni suppletive del Senato della Repubblica, 352.696 i veneti e 962 i comuni coinvolti nelle elezioni amministrative.
Eppure da un rapporto Istat, realizzato lo scorso giugno, viene fuori la fotografia di un Italia ben lontana dalla politica. Un Paese che tra il 2014 e il 2019 ha visto salire dal 18,9% al 23,2% la quota di persone di 14 anni e più che non partecipa alla vita politica. E non è incoraggiante il dato che segnala una ripresa solo in corrispondenza di scadenze elettorali importanti.
Ancor meno incoraggiante è il fatto che a manifestare più marcatamente il disinteresse per la politica siano le fasce più vulnerabili della popolazione. Cittadini che, in tal modo, rinunciano a un aspetto fondamentale della cittadinanza e alla possibilità de scegliere come e da chi essere rappresentati.
Sono circa 12 milioni 200 mila individui, il 23,2% della popolazione di 14 anni e più, a non vivere la politica, di cui donne per quasi i due terzi (circa 7 milioni 700 mila; il 28,3% delle donne di 14 anni e più), mentre gli uomini sono circa 4 milioni e 500 mila, il 17,7%.
I più distanti dalle varie forme di partecipazione politica sono, poi, i minori (il 46,6%) e gli anziani (il 30,3% delle persone di 75 anni e più, in particolare le donne: 38,7%).
Dal punto di vista territoriale, sono le regioni del Mezzogiorno a manifestare più nettamente il disinteresse: il 30,6%, circa, ossia 5 milioni e 500 mila individui, non partecipa in alcun modo rispetto al 18,3% del Nord e al 21,6% del Centro Italia.
Altri fattori socio-culturali incidono sulla scelta o meno di vivere la politica, come il grado di istruzione e la professione. E anche in questo caso, i dati ci dimostrano come siano i meno istruiti e gli individui che occupano ruoli meno apicali i più distanti. Infatti, il 38,8% di chi ha al massimo la licenza elementare si mostra totalmente indifferente alla partecipazione politica rispetto al 17,1% dei diplomati e all’8,8% dei laureati.
Circa 16,6% degli occupati non partecipa alla politica contro il 30,7% dei disoccupati; tra le donne si osserva uno scarto analogo tra occupate (19,8%) e casalinghe (36,2%). Tra gli occupati, invece, il distacco è ridotto tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (8,1%) e più elevato tra gli operai (24,7%).
La partecipazione diretta nel nostro Paese è in calo e tocca l’8,0%. Si può dire che i cittadini partecipano principalmente in modo indiretto, cioè informandosi o parlandone (74,8%).
Ciò non vuol dire, però, che l’andamento sia positivo: rispetto al 2014 la quota di chi non si informa affatto è passata dal 22,6% al 27,6%. Tra i motivi di questa scelta aumentano le persone che si dicono disinteressate, passando dal 60,2% al 64,9% del 2019, mentre diminuiscono gli sfiduciati, dal 31,3% al 25,5%.
Sono ancora le donne le meno informate (32,9% contro 21,9%) e il divario di genere tende ad aumentare con l’età.
Tra coloro che non si informano, in alcun modo, di politica il disinteresse raggiunge il picco tra i giovani fino a 24 anni (oltre il 70%), per poi diminuire gradualmente con l’età, pur non scendendo mai sotto il 60%.
La sfiducia nella politica, invece, tende ad aumentare con l’età, almeno fino ai 60 anni (con un picco del 33% circa tra i 55 e i 59 anni) e si riduce tra i più anziani.
La quota di chi non si informa affatto di politica aumenta al diminuire del titolo di studio e della posizione occupata, raggiungendo il 43,7% di chi ha al massimo la licenza elementare e il 30,2% tra gli operai.
Ancora una volta, a livello territoriale è il Mezzogiorno il meno informato, dove la percentuale raggiunge il 36% contro il 22% del Nord e il 25,6% del Centro.
I mezzi di informazione, attraverso i quali i cittadini fruiscono l’argomento, svolgono un ruolo decisivo nella percezione della politica.
Predomina ancora la televisione, utilizzata dall’89,2% di chi si informa. Se la televisione accomuna tutti gli strati sociali, gli altri strumenti, compreso internet, non possono affatto dirsi veicolo di equità sociale.
Il ricorso a radio e carta stampata, così come ad altri canali informativi, è diffuso maggiormente tra i più istruiti e tra chi occupa posizioni professionali elevate.
Così come l’utilizzo di Internet come canale di informazione politica che aumenta al crescere del titolo di studio.
Anche l’uso dei social network come canale di informazione politica, ha superato in termini percentuali quello della stampa on line tra i giovani fino a 34 anni, ed è raddoppiato tra i 35-54enni (dall’8,9% al 18,9%) e quasi triplicato tra gli over 54 (da 5,6% a 15,1%).
La diffusione dei social network come unico canale di informazione ha interessato le persone di 14
anni e più, indipendentemente dai livelli di istruzione, ma questo tipo di canale risulta più diffuso tra coloro che hanno titoli di studio medio-bassi.