lunedì, 16 Dicembre, 2024
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Il ruolo decisivo dell’educazione finanziaria nel comprendere la (non) sottile differenza tra investire e scommettere

“Mio cugino sta guadagnando tantissimo. Non voglio perdere nulla e guadagnare molto”; “Ho del risparmio da parte; aspetto che l’economia si consolidi per decidere come investire”. Queste sono solamente un piccolo campione delle frasi che spesso si sentono negli incontri con la clientela che si affaccia al mondo della gestione del risparmio. Cugini, amici, conoscenti che millantano enormi guadagni e pochi rischi in prodotti e soluzioni d’investimento non meglio identificate.

Cosa si cela dietro certe affermazioni? Sicuramente che il ruolo dell’educazione finanziaria in Italia non ha ancora ricevuto il posto decisivo che merita nello sviluppo della società, con risvolti importantissimi sia da un punto di vista economico, che da un punto di vista sociologico.

Investire richiede obiettivi di vita chiari, tempo, la presenza di un operatore qualificato con il quale interfacciarsi, manutenzione e strategia, non rinunciando a qualche mossa tattica in momenti di alta volatilità. Dietro un investimento c’è un risparmiatore consapevole, un investitore. Scommettere vuol dire affidarsi alle voci di corridoio, alla moda del momento, e dietro una scommessa in campo finanziario c’è uno speculatore che mira a raggiungere il più grande guadagno possibile nel minor tempo possibile. Perché molto spesso le persone  con meno conoscenza e apparentemente meno propense al rischio fanno richiesta da speculatori? Per la scarsa attenzione che nel nostro Paese viene data ai temi dell’educazione finanziaria.

Facciamo un esempio pratico. Un bambino che dalla scuola primaria in poi  familiarizzi con il concetto di risparmio graduale, entrate e uscite, bilancio familiare, bilancio dello Stato, etc. sarà un cittadino più consapevole, graverà probabilmente meno sul welfare perché appena inizierà a lavorare (una chimera per molti giovani) metterà da parte anche una piccolissima cifra per un fondo pensione integrativo; per una polizza sanitaria; avrà più consapevolezza nel pagare le tasse; avrà più chiaro cosa vuol dire avere degli obiettivi e fare qualcosa di concreto per raggiungerli.

Nel 2018 la Banca d’Italia ha pubblicato una ricerca dal titolo “Measuring the financial literacy of the adult population: the experience of Banca d’Italia”, rilevando un gap sostanziale fra il nostro paese e il resto dell’area Ocse quanto al livello di conoscenze di base dei temi legati alla finanza personale, al risparmio e agli investimenti: il 30% degli italiani ha raggiunto un livello di conoscenza di questi aspetti della propria economia domestica adeguato, contro una media Ocse del 62%.

Il livello di conoscenza finanziaria non è lo stesso in tutta la popolazione: gli uomini presentano livelli di consapevolezza finanziaria maggiori delle donne, anche se il gap è minore rispetto ad altri paesi dell’area OCSE.

Anche l’istruzione e la posizione lavorativa sono fattori importanti per garantire livelli adeguati di comprensione dei concetti finanziari; il punteggio medio delle conoscenze scende da circa 4 per i laureati a circa 3,2 per le persone diplomate e a 2 fra chi non ha il diploma. Le conoscenze finanziarie sono inoltre più basse fra chi non lavora, incluse le casalinghe Le donne, come noto, partecipano in misura ancora molto marginale al mercato del lavoro: al Sud una donna su cinque con almeno un figlio non lavora, mentre la media europea è il 3,7% .

Il livello di istruzione spiega anche la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi oggetto d’indagine: circa il 47% della popolazione italiana adulta non ha il diploma, contro il 14% dei tedeschi, il 10% dei canadesi e degli inglesi. E qui torna cogente il tema della scolarizzazione per garantire al nostro Paese la competitività che merita.

Fra le fasce più giovani le cose non vanno affatto meglio: secondo una ricerca del 2015, circa il 20% degli studenti non riesce a raggiungere neppure la sufficienza quando si tratta di comprensione di fenomeni finanziari di tutti i giorni, che riguardano per esempio gli acquisti, e solo il 6% (la metà in percentuale degli altri paesi) mostra di avere un livello massimo di padronanza del tema. Nonostante questo, un aspetto positivo rispetto a cinque anni prima si registra un lieve miglioramento.

Gli italiani sono risultati per esempio inconsapevoli dei vantaggi della diversificazione del portafoglio: solo il 37% degli intervistati comprende che i rischi possono essere ridotti acquistando una vasta gamma di azioni e titoli. Inoltre, meno della metà di loro è in grado di calcolare un tasso di interesse semplice.

Cosa vuol dire tutto questo? Di certo non che la popolazione italiana sia da meno rispetto alle altre del mondo occidentale, anzi. Come noto, il risparmio pro-capite degli italiani è notevolmente più alto di tutti gli altri paesi area Ocse, come la percentuale di possesso di case di proprietà.

Quindi, gli italiani, nonostante l’ancora non adeguata familiarizzazione con i temi più prettamente finanziari, come sempre riescono a cavarsela anche nelle situazioni più difficili, si sa.

Ma aggiungere l’importante tassello della conoscenza e consapevolezza dei temi relativi all’educazione finanziaria, che sono cosa ben più ampia rispetto a come va questo o quel mercato in un momento piuttosto che in un altro, sarà il compito delle istituzioni e degli operatori del settore nell’immediato futuro. A noi tutti contribuire in questa importante sfida di civiltà.

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