Premesso che ancora non so bene a cosa serva la mascherina. Tutte le indicazioni scientifiche puntano su di lei; ma gli stessi “soloni in camice bianco”, da mesi, si contraddicono, litigano, anche se sulla carta parlano coralmente di “strumenti di protezione individuale”. Il che aprirebbe a una serie di ricette e soluzioni alternative (eventualmente anche la sciarpa protegge?), che non sembra il caso di trattare.
Senza dilungarmi troppo sull’effetto preventivo o successivo della mascherina, rispetto al contagio, mi preme sottolineare, approfondire, i suoi effetti a 360 gradi. Effetti con implicazioni psicologiche, ideologiche, culturali e socio-antropologiche.
Vedere le persone con la mascherina, devo aggiungere, mi piace. Mi dà un senso di pace. Specialmente osservare i giovani, le ragazze, le donne. Spunta una bellezza profonda, quella degli occhi, la bellezza dell’anima, che le unisce e le indirizza finalmente verso “parametri alti e altri”, e non le livella in basso, verso standard folli e demenziali, come pesare poco, assumere una fisionomia perfetta da anoressiche, altrimenti “sei fuori dalla vita”.
Quella luce degli occhi, richiama, infatti, mondi diversi, che la società consumista del profitto, dell’immagine, della nevrosi, dell’usa e getta, della fiction, ha rimosso. Un’interiorità che ha trovato la sua massima espressione, ad esempio, nella Fase-1, quando noi italiani abbiamo riscoperto la priorità del bene comune sull’individualismo, la priorità della sanità pubblica, massacrata dalla liturgia e narrazione liberista, la priorità e l’importanza delle persone care, vicine, prossime, delle relazioni familiari.
Ma c’è anche la mascherina della Fase-2 e della Fase-3. Vedo un’umanità divisa tra “cafoni della libertà”, che a una libertà costituzionale, parlamentare, di piazza, autentica, una resistenza popolare che bisognerebbe rivendicare (contestando la deriva direttoriale di Conte, gli interessi politico-sanitari del Regime-Covid), affermano unicamente una libertà fisiologica, cavernicola, materialista, basata esclusivamente su pulsioni libertarie (come girare a piacimento, cenare, movida, corse isteriche sui prati), e dall’altra parte, vedo tanti, troppi, “paranoici della paura”. Che portano la mascherina perfino al gabinetto.
Sto parlando degli ostaggi, degli utili idioti di qualsiasi sistema politico che pensa di diventare autoritario. Questi tipi la portano di giorno, all’aperto, ti guardano con odio e rancore mistico se ti avvicini. La indossano pure in macchina stando da soli (follia pura). E ben prima delle 18,00, ora in cui il virus, per decreto di Conte, si sveglia e va a raggiungere giovani e i meno giovani. Un virus perfino ideologico: se colpisce Zingaretti è un’ingiustizia, se colpisce Briatore è una giustizia divina.
I paranoici della paura sono interessanti. Sono sia di destra, sia di sinistra. Quelli di destra, godono nel vedere la massa ingabbiata militarmente, nel nome della legge e dell’ordine. Quelli di sinistra, perseguono il medesimo scopo, ma nel nome dell’umanità, della fratellanza, della salute, del pianeta, dell’ecologia, degli animali: un’ecologia a 360 gradi. Che poi, tanto altruista non è, sa molto di difesa del proprio Mulino bianco, del proprio io, purché etico e progressista.
Il tema è profondo e già noto nella storia a livello religioso. Gli ebrei d’Egitto, quando furono liberati da Mosè, non furono tentati più volte dalla schiavitù? Quasi preferendola a una libertà incerta e difficile?
Ecco il punto: le mascherine nascondono un paradigma. A una libertà pericolosa l’uomo tende a preferire una schiavitù controllata. Garantita dal padrone di turno. Basta mangiare, bere, dormire, proteggersi, sopravvivere.
La paura di morire vince sempre sul desiderio di vivere. E questo i governanti (re, presidenti, dittatori, premier), lo sanno. Si chiama gestione politica della paura, che poi, ovviamente, per finire l’opera, necessita di un nemico, il male: nel nostro caso, i No-Vax, i negazionisti, gente da Tso. Come un tempo, c’erano i nemici del popolo per il comunismo, gli ebrei per il nazismo, i comunisti per il fascismo.
E non finisce qui. Noto pure un certo compiacimento nell’indossare di giorno la mascherina. Una sorta di narcisismo malato del dolore, della privazione. Un moralismo rovesciato. Ci tolgono la dignità di popolo, ci distanziano socialmente, ci relegano nel privato, scippandoci i luoghi pubblici, ci riducono ad autonomi, a individui soli, intimoriti, scimmie ammaestrate che cantano in balcone e pregano sul divano, e noi anziché organizzarci, come fanno i tedeschi o i francesi, dove il virus è più aggressivo, ci sentiamo paradossalmente protagonisti nell’indossare la mascherina. E magari, ce la personalizziamo a piacimento, colorando meglio la nostra prigione: mascherine tricolori, sabaude, di partito, con scritte da tatuaggio, visi, disegni, città, ricordi.
Ricordi: basta che non ricordiamo più come eravamo e non pensiamo a come siamo ora. Un destino funesto che ha riguardato le democrazie prima delle catastrofi totalitarie.
(Lo_Speciale)