Tutelare la salute dei cittadini e l’ambiente. Governare il cambiamento del clima ed orientare la produzione industriale verso progetti a basso impatto ambientale. Per tutto questo e molto altro ancora i soldi ci sono ma le Regioni non riescono a spenderli.
L’italia è il primo Paese beneficiario di risorse Europe per l’ambiente ma è anche l’ultima nel spenderli in iniziative concrete. Colpa delle Regioni che non riescono a individuare progetti, a ridurre il peso delle inefficienze burocratiche, a investire in innovazione e ricerca in materia ambientale.
L’effetto paradosso vuole che l’Italia sia il Paese con più infrazioni (17 su un totale di 72) per danni contro l’ambiente, e non riesca nemmeno a darsi da fare per arginare i piccoli grandi disastri commessi contro la natura e a ridurre l’impatto negativo delle fonti inquinanti.
A sistemare le reti fognarie e idriche dove si disperde il 44% di acqua potabile. A progettare nuove soluzioni di sviluppo industriale, tema sensibile per Bruxelles. Così per scarsa attenzione, o per mancanza di impegno di privati e pubblica amministrazione si calcola che dei 19 miliardi messi a disposizione della Ue, lo Stato e le Regioni – le vere protagoniste dei ritardi – hanno speso solo 5,2 miliardi (ossia 28% del totale destinato all’Italia). Ora il tempo stringe – i fondi assegnati sono quelli in scadenza del programma 2014-2020 – dovranno essere spesi e sarà una corsa, perché gli Enti locali dovranno attivare progetti per circa 14 miliardi di fondi europei per azioni di tutela del clima, riduzione delle fonti di inquinamento, e ammodernamento degli impianti di smaltimento delle acque reflue fognarie e di quelle di distribuzione idrica.
Le risorse che finora risultano impegnate con progetti che esistono sulla carta, sono circa 7.8 miliardi, e ammesso che le Regioni riusciranno spendere questi fondi, resterebbe ancora da trovare la collocazione di 6 miliardi di euro, da investire nei programmi nazionali e in quelli regionali. A rimanere indietro nella gestione dei residui dei fondi strutturali e di investimenti previsti dall’Europa , sono quasi tutte le Regioni, ma ci sono poi i casi più evidenti di mancata spesa come la Puglia per 850 milioni; la Campania per 554 milioni; la Lombardia per 391 milioni e la Sicilia per 377 milioni. Altri 900 milioni da impegnare sono quelli affidati dalla Ue all’Italia per programmi a gestione nazionale.
In altri versi tanti soldi per poter realizzare infrastrutture, creare servizi efficienti e meno impattanti, mettere a punto sistemi innovativi a tutela della salute e dell’ambiente, ma tra burocrazia, ritardi e disinteresse, accadde che l’Italia ha collezionato infrazioni e multe Ue. Come se non bastasse c’è il recente deferimento alla Corte di giustizia dell’Ue per non aver rispettato, malgrado le reiterate sanzioni e avvertimenti, gli obblighi in materia di inquinamento atmosferico e di trattamento adeguato delle acque reflue urbane. Ritardi disastrosi che si avvertono ovunque. Eppure, malgrado le critiche strumentali verso l’Europa, l’Italia ha avuto con 19 miliardi la quota più alta di risorse destinate al clima e miglioramento dell’ambiente.
In ordine decrescente c’è la Francia (14,5 miliardi), Spagna (14,36), Polonia (14,33), Germania (12,58) e Romania (10,66). Gli ultimi dati sulla spesa certificata dalla Commissione europea al 31 dicembre 2018, evidenziano che per i tre obiettivi tematici “azioni per il clima” considerati prioritari ossia: “il sostegno della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, misure per la governance dei rischi e del cambiamento climatico nonché la promozione dell’utilizzo efficiente delle risorse e della tutela ambientale”; la spesa si attesta al 31,9% rispetto alla dotazione. Ciò significa, secondo i calcoli degli analisti, che sono stati spesi poco meno di 52 miliardi su più di 162 e, quindi, restano da spendere oltre 110 miliardi, teoricamente entro il 2020. C’è uno spiraglio tecnico che prevede uno slittamento e la possibilità di certificare la spesa entro il 2023.
C’è infine un problema di indirizzo sui progetti che possono essere finanziati e sui quali si attendono chiarimenti da Bruxelles. Ad esempio i fondi ancora a disposizione e non spesi possono essere investiti in infrastrutture necessarie per la gestione delle risorse idriche e quella dei rifiuti? O possono essere utilizzati a sostegno della transizione industriale verso l’economia circolare o comunque verso modelli meno impattanti? O, ancora, per migliorare sistemi di gestione delle catastrofi naturali a livello locale. Argomenti che devono essere approfonditi, e sui quali le Regioni e il Governo non hanno ancora dato indicazioni.