Torna ad ingrossarsi il materasso degli italiani che, solo negli ultimi 12 mesi, hanno incrementato le proprie ricchezze di oltre 94 miliardi euro, segnando una crescita di depositi bancari del 7%. Un dato, quello rilevato nei giorni scorsi da Unimpresa, segnale di una forte incertezza sul futuro: nel dubbio, risparmia.
A ben guardare i numeri, però, si scopre che una vera e propria impennata dei risparmi si è registrata nei primi mesi di quest’anno, durante i quali, complice anche il lockdown che ha ridotto fortemente i consumi, la parsimonia è aumentata di quasi 40 miliardi (+30%). Una montagna di soldi fermi, oggi, per paura del futuro.
Secondo i dati di Confcommercio lo scorso mese di maggio si è registrato un calo dei consumi del 29,4% annuo, anche se in rapporto ad aprile (-47%) il trend sembra in lieve miglioramento. I servizi legati al tempo libero, complice il periodo pandemico, si sono praticamente azzerati (-92%), mentre il comparto del turismo ha fatto registrare un decremento del fatturato di alberghi, bar e ristoranti del 66%. In sofferenza anche il comparto dell’abbigliamento (-55%). L’Ufficio studi della Confederazione mette in guardia sulla possibilità – rebus sic stantibus – «dell’avvio di un possibile corto circuito depressivo».
Che l’Italia fosse un Paese di super risparmiatori era cosa nota, con più di 10 mila miliardi di ricchezza accumulata nel corso del tempo. Adesso tutti gli occhi sono puntati su quei 1.500 miliardi di euro immobilizzati nei caveau delle banche, senza calcolare i molti, moltissimi soldi residenti all’estero negli ultimi anni e di cui, per ovvie ragioni, non si può avere contezza assoluta. Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, l’ultima voluntary disclosure del 2015 ha portato alla luce circa 60 miliardi di euro custoditi dagli italiani oltre frontiera (di cui ben 41 miliardi conservati soltanto in Svizzera).
Non stupisce dunque come da più parti, oltre confine, venga suggerita l’applicazione di un’imposta patrimoniale per abbattere l’imponente debito pubblico nazionale, un prelievo diretto dai conti corrente sul far del vespro, come nel 1992.
Lungi però dall’idea di ritrarre un’immagine di ricchezza e floridità. Se, da un lato, i soggetti privati trattengono la ricchezza non spendendola e le imprese si guardano bene dall’investire risorse finanziarie, vittime anch’esse dell’incertezza politica, si registra parimenti una crescente difficoltà ad onorare prestiti e mutui: nei primi quattro mesi del 2020, più di 219 milioni di euro di rate non sono state pagate, sintomo di una sofferenza creditizia che offre diversi spunti di riflessione. «Siamo entrati in una fase di congelamento generale: il Coronavirus da un lato ci ha trascinati in recessione immediatamente, dall’altro non ci dà la forza né la spinta per ripartire e questo secondo aspetto probabilmente è il più preoccupante» ha commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Anche un possibile ritorno del virus il prossimo autunno, legato alla preoccupazione sul reddito futuro, sta influenzando il comportamento dei consumatori che, tenuto conto che del doman non v’è certezza, stanno limitando i consumi ai beni essenziali, non immettendo denaro fresco nel circuito economico impedendo, di fatto, la ripartenza economica tanto auspicata.
Adesso la parola spetterà al Governo, chiamato a dare attuazione delle strategie discusse nella clausura di Villa Pamphili e, soprattutto, a trasformare il paradigma trasformando gli italiani in popolo di santi, navigatori e consumatori.