Lucidarsi le scarpe era un rito mattutino a cui non era possibile rinunciare. Se lo facevamo di corsa, nell’ascensore finivamo il lavoro passando il sopra delle scarpe sul polpaccio dei pantaloni. Le scarpe dovevano essere soprattutto pulite non importava se fossero nuove. Ricordo ancora il tempo che mio padre passava a lucidarsi le scarpe e la cura con la quale le guardava e le girava da tutte le parti.
All’epoca, in Via del Tritone, c’era anche un lustrascarpe che a guardarlo non sorrideva mai. Un vero professionista in camice nero, serio, e con sempre tutto l’armamentario pulitissimo. Quel seggiolone, per me era un trono, chi aveva la possibilità di sedercisi sopra era un signore vero. Qualche volta ci vedevo seduto qualcuno che era troppo intento a guardare quello che faceva il signor Nando, il lustrascarpe, e che si capiva che non un signore, si capiva che si era seduto lì come se fosse salito su un’autoscontro delle giostre. A lui le scarpe non sarebbero mai venute lucide perché non le capiva, le scarpe. Le scarpe andavano amate, custodite, fatte risuolare al momento giusto. Il tacco non poteva essere consumato più di tanto perché il lavoro del calzolaio diventava difficile ed il risultato lasciava vedere che ci eravamo trascurati. Si vedeva che quel tacco era andato troppo su.
Quando salivo per il Tritone, di mattina, con la tipica trasparente forte luce romana, spesso incontravo in concomitanza di quel lustrascarpe indimenticabile, qualche politico che con il suo doppio petto fumo di Londra scendeva a piedi dagli uffici dei gruppi parlamentari, che erano a mezza strada, per andare alla Camera dei Deputati. Entrambi quegli uomini erano per me dei miti, l’uno con un arte impossibile nelle mani e l’altro con un vestito che non avrei mai potuto permettermi. I politici, allora, erano tutti seri e misteriosi. Non si capiva neppure quello che realmente facessero.
Non sempre ci potevamo permettere di comprare il giornale che ci veniva offerto per strada, davanti ai Ministeri, dagli strilloni di allora, ma che non strillavano però, a Roma. Ne ricordo in particolare uno che sostava davanti al Ministero della Difesa con il Messaggero a braccio e che aveva una dignità nel porgerti il giornale che quasi rasentava la vergogna. Abitava a Via dei quattro Cantoni, tra Via Cavour e Santa Maria Maggiore, lo seppi perché una mattina che avevo voglia di scambiarci due parole e che lui stava andando via perché aveva finito i giornali, me lo disse con orgoglio e mi fece capire che lui abitava in centro; in centro e non in periferia. Mi disse anche che vedeva sempre i Ministri che si alternavano a quel ministero imponente di Via XX Settembre. L’ultimo che vedeva era Roberto Tremelloni e mi disse anche che il Ministro lo salutava con assoluto rispetto; così mi disse, con assoluto rispetto.
La politica era comunque una cosa seria. Avranno fatto danni quei doppi petto fumo di Londra ma sicuramente meno di quelli che stanno facendo gli abitini striminziti color carta da zucchero dei parlamentari di oggi, e parlo di quelli che sanno portare un vestito anche se probabilmente non si lucidano le scarpe tutte le mattine. Gli altri si vestono alla sanfasò (sans facon alla francese) perché pensano che vestirsi così li avvicini di più alla gente. Ma le istituzioni vanno rispettate anche portando sempre le scarpe lucide e la giacca. Ricordo che qualche volta non avevo la giacca, e all’ingresso della Camera c’era sempre la possibilità di averne una in prestito dai commessi. Altri tempi quelli.