Gli asili nido sono una risorsa preziosissima sia per sostenere la genitorialità che per un corretto e sano sviluppo della socialità e dell’educazione dei bambini. Nel corso degli anni il loro ruolo ha subito una vera e propria transizione: se inizialmente erano avvertiti come un servizio meramente assistenziale, hanno poi acquisito una importante funzione educativa.
Nella legge del 1971, istitutiva del servizio asili nido comunali, si indicava come scopo quello “di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia”. Solo nel corso degli anni ’90 si è giunti a riconoscere un ruolo educativo dei servizi tra 0 e 2 anni. Negli stessi anni, anche l’Unione europea è giunta ad una svolta, con la definizione degli obiettivi europei per arrivare a un livello minimo di offerta nei servizi per l’infanzia.
Dalle indicazioni europee, questi devono essere offerti almeno al 33% dei bimbi sotto i 3 anni e al 90% dei bambini tra 3 e 5 anni.
Sebbene gli intenti iniziali fossero differenti da quelli puramente educativi, la posizione dell’Unione europea ha dato per la prima volta un parametro concreto per valutare l’impegno degli Stati nell’incrementare l’offerta di asili nido.
In Italia, il Decreto legislativo n. 65/2017, che riconduce i nidi e i servizi integrativi per la prima infanzia alla sfera educativa piuttosto che al comparto assistenziale, ribadisce l’obiettivo del 33% nella normativa nazionale e stanzia finanziamenti per il triennio 2017-19.
Ma nonostante diversi siano stati gli interventi normativi conformi alla linea adottata dall’Ue, il nostro Paese, se da un lato ha già superato la soglia del 90% prevista per le scuole per l’infanzia, dall’altro è ancora lontano dall’obiettivo del 33% per la fascia tra 0 e 2.
Il Report di giugno 2020 dell’Istat, realizzato in collaborazione con il Dipartimento delle Politiche per la famiglia, l’Istituto Nazionale di Statistica e l’Università Ca’ Foscari Venezia – Facoltà di Economia, per la produzione, diffusione e analisi dei dati sui servizi educativi per l’infanzia, evidenza importanti criticità, non solo dovute ad una discrepanza tra la disponibilità dei servizi educativi per la prima infanzia ed il reale bacino d’utenza, ma anche riguardo alla loro disomogenea distribuzione territoriale nazionale.
Il nostro Paese è ancora sotto di 8 punti rispetto agli obietti europei: viene offerto un posto in asili nido o servizi prima infanzia al 24,7% dei residenti tra 0 e 2 anni di età. Un dato che varia da regione a regione, toccando picchi bassissimi nel mezzogiorno (Nord-est 32,5%; Centro 32,4%; Nord-ovest 29,2%; Sud 12,3%; Isole 13,5%).
Infatti, in quasi tutte le regioni del sud, ad eccezione della Sardegna, la copertura è inferiore alla media nazionale. Il record negativo si registra in Campania con l’8,6%.
Al Nord ed al Centro, invece, la situazione è completamente ribaltata ed alcune regioni superano ampiamente l’obiettivo Ue: Valle d’Aosta (47,1%); Umbria (41,1%); Emilia Romagna (38,1%); Toscana (35%).
Attraverso le medie regionali risulta evidente, ancora una volta, l’ampia disparità tra il Sud e il resto del Paese, sulla copertura di asili nido. Passando, poi, ad esaminare la diffusione di tali strutture all’interno del territorio, dalle province ai comuni, ciò che viene fuori è un dato ancora più disarmante. In una regione con un’alta copertura di asili nido, potrebbero esserci comuni che ne sono sprovvisti o che dispongono di pochi posti. Aree in cui le famiglie devono percorrere distanze considerevoli per raggiungere la struttura più vicina.
Ad accomunare l’intero Paese è la tendenza che vede ridursi gradualmente la copertura del servizio man mano che ci si allontana dai poli, arrivando nelle periferie ad una media di 14,9 posti offerti ogni 100 bimbi. Anche in questo caso i numeri variano tra Nord e Sud: sfiorando quota 9,2 e 8,1 posti ogni 100 bimbi, i comuni periferici e ultraperiferici di Calabria e Liguria garantiscono la minor copertura del servizio. Anche Basilicata, Puglia e Campania registrano dati inferiori alla media (14,9%).
Ciò che il Report Istat porta alla luce è un’Italia che fatica ad allinearsi agli obiettivi europei e resta indietro rispetto agli altri Stati. Il che si traduce, a livello nazionale, in un Paese che, ancora una volta, penalizza il sud Italia e le periferie tutte.
La letteratura scientifica degli ultimi vent’anni, come gli stessi documenti della Commissione europea che ad essi si rifanno, ribadiscono con forza che scuole ed asili nido sono un concreto strumento di contrasto alla povertà educativa e di riduzione delle disuguaglianze.
Allo stesso tempo, come già la strategia di Lisbona 2000 aveva colto, costituiscono un mezzo decisivo per favorire l’occupazione femminile.
Con i dati che oggi fotografano l’Italia, il gap tra Nord e Sud, centro città e periferia resta fortissimo. Come del resto avviene per la disparità occupazionale tra uomo e donna: gli uomini occupati con figli sono l’84,4%, le donne circa il 56,3%, con Sicilia e Campania in coda.