La recente approvazione in Iraq di una legge che consente il matrimonio anche sotto i 18 anni — in alcuni casi per bambine di appena 9 anni, secondo quanto denunciato da organizzazioni per i diritti umani— sta già producendo effetti drammatici nella capitale. A Baghdad, il cosiddetto “mercato delle spose”, una rete informale di intermediari, famiglie e leader religiosi, è in forte espansione, con un aumento di matrimoni forzati tra giovani ragazze e uomini molto più anziani. Secondo attivisti e ONG locali, la nuova normativa, che affida ai tribunali religiosi maggiore potere sulle questioni familiari, ha creato un vuoto di tutela che molte famiglie in difficoltà economica stanno sfruttando per “sistemare” le figlie in cambio di denaro o protezione. In un Paese segnato da anni di conflitti, disoccupazione e sfollamenti interni, il matrimonio precoce viene spesso presentato come una soluzione alla povertà, ma di fatto espone le bambine a violenze, abusi e isolamento sociale. Le testimonianze raccolte da associazioni femministe irachene parlano di un aumento delle richieste di “mediazione matrimoniale” nei quartieri più poveri della capitale. In alcuni casi, gli accordi vengono conclusi fuori dal sistema legale, attraverso cerimonie religiose che rendono impossibile monitorare l’età reale delle spose, una pratica già diffusa negli anni precedenti e ora ulteriormente legittimata dalla nuova legge. Le proteste non si sono fatte attendere: nelle piazze di Baghdad, gruppi di donne e attivisti hanno denunciato la legge come un “attacco diretto ai diritti delle bambine”, chiedendo al governo di ritirare gli emendamenti. Il governo iracheno difende la riforma come un adeguamento alle “tradizioni religiose e culturali” del Paese. Una posizione che, secondo gli analisti, riflette l’influenza crescente delle correnti conservatrici all’interno del Parlamento e il tentativo di consolidare il consenso tra le comunità più religiose.



