Nonostante il cessate il fuoco formalmente in vigore a Gaza, le Nazioni Unite continuano a ricevere segnalazioni di raid aerei, bombardamenti e sparatorie in tutti e cinque i governatorati della Striscia. Il portavoce dell’Onu Stéphane Dujarric, ha riferito che un’operazione di soccorso diretta a Gaza City è stata bloccata, causando ulteriori ritardi negli interventi umanitari e nuove vittime. Alla violenza diretta si somma l’emergenza di migliaia di sfollati che, non avendo alternative, hanno trovato rifugio in edifici lesionati dai bombardamenti. Le recenti tempeste hanno provocato il crollo di numerosi palazzi, con un rischio crescente per la popolazione civile. Secondo l’Onu, tre quarti delle famiglie guidate da donne necessitano urgentemente di un alloggio e circa 630 mila adolescenti non dispongono di abiti adeguati per affrontare l’inverno. Il conflitto si estende anche al fronte settentrionale. Ieri le Forze di difesa israeliane hanno annunciato di aver ucciso tre militanti di Hezbollah in un attacco mirato nei pressi di Sidone, in Libano, accusandoli di lavorare alla ricostruzione delle infrastrutture del movimento sciita in violazione degli accordi con Beirut. Sullo stesso confine, Israele ha dichiarato di aver sventato un tentativo di contrabbando di armi dalla Giordania tramite drone.
La posizione italiana
In questo quadro, l’Italia guarda con crescente preoccupazione all’evoluzione della crisi. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, in visita al contingente italiano in Bulgaria, ha definito l’ipotesi di una missione internazionale a Gaza “più difficile dell’Afghanistan”, sottolineando che si tratterebbe di operare in un’area non pacificata, con milizie ancora attive e una rete di tunnel sotterranei. Crosetto ha chiarito che, al momento, un progetto concreto non esiste e che ogni decisione verrà presa solo quando il quadro sarà definito. Diversa, invece, la posizione sull’impegno in Libano. Il ministro ha definito “surreale” l’idea di un ritiro di Unifil proprio nel momento di massima instabilità, ribadendo che l’Italia non intende abbandonare il Paese e che, se necessario, la presenza potrà continuare anche sotto una diversa bandiera internazionale o nazionale.
Le ambiguità del governo israeliano
Sul piano politico, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha alimentato nuove tensioni con dichiarazioni contrastanti. Dopo aver affermato che Israele non si ritirerà mai completamente dalla Striscia di Gaza e aver evocato la creazione futura di avamposti militari nel nord dell’enclave, Katz ha successivamente precisato che il governo non ha alcuna intenzione di creare nuovi insediamenti civili, sostenendo che i riferimenti a “gruppi di pionieri” avevano esclusivamente finalità di sicurezza. Le sue parole restano tuttavia in evidente frizione con la seconda fase del piano di pace promosso dagli Stati Uniti, che prevede il ritiro totale delle truppe israeliane, il disarmo delle milizie e la ricostruzione di Gaza. Intanto, il parlamento israeliano ha approvato in via definitiva la proroga fino al 2027 della normativa che consente al governo di limitare o chiudere le attività di emittenti straniere ritenute una minaccia alla sicurezza nazionale. La legge, che sostituisce la precedente “Legge Al Jazeera”, attribuisce al ministro delle Comunicazioni ampi poteri, senza necessità di autorizzazione giudiziaria preventiva. La misura ha già suscitato critiche a livello internazionale, soprattutto per l’impatto sulla libertà di stampa e per il precedente blocco delle attività dell’emittente qatariota Al Jazeera, particolarmente presente nella Striscia di Gaza. Le tensioni crescono anche all’interno di Israele, dove manifestanti ultraortodossi contrari alla leva obbligatoria hanno bloccato un’autostrada nel centro del Paese, protestando contro l’arresto di un renitente Haredi. Una frattura che si aggiunge a un contesto regionale sempre più instabile, mentre il bilancio delle vittime a Gaza continua a salire oltre le 70 mila unità dall’inizio dell’offensiva, il 7 ottobre 2023.
Ankara guarda alla seconda fase
Sul piano diplomatico, la Turchia ha indicato l’inizio del 2026 come possibile avvio della seconda fase della tregua a Gaza. Il ministro degli Esteri Hakan Fidan ha spiegato che i colloqui con Stati Uniti, Qatar ed Egitto si concentrano sugli ostacoli politici e sulla necessità di una governance palestinese della Striscia.



