L’annuncio del primo Concistoro straordinario del pontificato, convocato per il 7 e l’8 gennaio 2026, ha fatto da cornice alle parole pronunciate da Leone XIV ieri nell’ultima udienza giubilare del sabato in piazza San Pietro. Inutile dire che si è trattato di un passaggio istituzionale alquanto rilevante, che apre una fase di confronto con i cardinali sul governo della Chiesa, e che si intreccia con il messaggio consegnato ai fedeli: la speranza non è un sentimento privato, ma una forza che genera storia. Tornando a ieri, nel clima di fine Giubileo, il Papa ha scelto di non tracciare bilanci, ma di indicare una direzione: “Sperare è generare”, ha detto, ponendo al centro della catechesi una parola che attraversa la Scrittura e la realtà contemporanea. Senza Gesù, l’annuncio che “il Signore è vicino” potrebbe apparire come una minaccia; con Gesù, diventa rivelazione di un Dio che non schiaccia, ma si fa vicino nella misericordia. È un Dio che continua a creare e che chiede all’uomo di non interrompere questo movimento.
Il riferimento a San Paolo, con l’immagine di una creazione che geme come nelle doglie del parto, ha dato spessore alla riflessione. Quel gemito, ha osservato il Pontefice, non è un concetto astratto: è il grido della terra e dei poveri. Un grido che esiste, ma che spesso non trova ascolto. In un mondo in cui la ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di pochi, l’ingiustizia non è solo economica, ma riguarda il modo in cui si concepisce il rapporto tra l’uomo, il creato e il futuro.
Beni per tutti
Il Santo padre ha richiamato un principio netto: i beni del creato sono destinati a tutti. Non come slogan, ma come criterio che interpella le scelte politiche, sociali e personali: “Il nostro compito è generare, non derubare”, ha spiegato, indicando una linea di confine tra chi consuma e chi costruisce. Anche il dolore, nella fede, non è l’ultima parola: è segno di un parto possibile, di qualcosa che può nascere se trova responsabilità e ascolto. Il Vescovo di Roma ha poi distinto tra forza e prepotenza. La forza che minaccia e uccide, ha spiegato, non genera nulla; è paura che diventa aggressione. La forza di Dio, invece, fa nascere. Non elimina i conflitti, ma li attraversa senza negare la dignità dell’altro. In questo senso, la speranza non è fuga dalla storia, ma un modo concreto di abitarla.
Il richiamo a Maria di Nazaret ha dato continuità a questa prospettiva. In lei la Chiesa vede una donna che genera: Dio le ha affidato la sua Parola, che ha preso corpo e tempo. Maria è chiamata “speranza nostra” perché mostra che la speranza può diventare vita concreta. E se Dio ha scelto di entrare nella storia attraverso una donna, allora anche oggi la Parola può trovare spazio, trasformando il grido ascoltato in responsabilità condivisa.
Nelle mani di Dio
Verso la conclusione dell’udienza Prevost ha allargato lo sguardo: la storia, ha detto, è nelle mani di Dio e di chi spera in Lui. Non è una delega passiva, ma una chiamata. Accanto a chi accumula e sottrae, esistono persone che generano, che tengono aperto il futuro anche quando le condizioni sembrano chiuse. È in questa luce che si comprende anche il Concistoro annunciato per gennaio. Due giorni di comunione, riflessione e preghiera con i cardinali, chiamati a collaborare in modo diretto al governo della Chiesa. Non un appuntamento formale, ma un momento di riflessione in un tempo segnato da fratture e transizioni.
Benedizione dei bambinelli
L’orizzonte indicato dal Papa si intreccia anche con i segni semplici della tradizione. Oggi infatti tornerà in piazza San Pietro la Benedizione dei Bambinelli, che per la prima volta vedrà la presenza e la preghiera di Leone XIV. Al termine dell’Angelus, il Pontefice benedirà le statuine di Gesù Bambino portate da bambini e famiglie, in un appuntamento promosso dal Centro Oratori Romani e dedicato quest’anno al tema ‘Un tesoro di luce fra le mani’. La piazza si trasformerà per alcune ore in un oratorio a cielo aperto, con canti, giochi e animazione, per accompagnare i più piccoli verso la preghiera. Un gesto che, dopo l’anno giubilare appena concluso, richiama il cuore del Natale: fare spazio a Gesù Bambino come centro della vita cristiana e segno di una speranza che passa anche attraverso la semplicità, l’infanzia e la comunità.


