L’Eritrea ha annunciato il proprio ritiro dall’Intergovernmental Authority on Development (IGAD), il principale blocco regionale dell’Africa orientale, accusandolo di aver “forfettato il suo mandato legale” e di non offrire più alcun beneficio strategico ai Paesi membri. La decisione, comunicata dal ministero degli Esteri di Asmara, arriva appena due anni dopo il rientro dell’Eritrea nell’organizzazione, dalla quale si era già allontanata in passato. Il governo eritreo sostiene che l’IGAD si sia trasformata in uno strumento politico ostile, incapace di contribuire alla stabilità del Corno d’Africa. L’organizzazione ha replicato sottolineando che l’Eritrea, pur avendo formalmente ripreso la membership, non avrebbe partecipato in modo significativo ai lavori né avanzato proposte concrete di riforma. Il ritiro avviene in un momento di crescente frizione con l’Etiopia, storico vicino e rivale. Dopo anni di relativa distensione seguiti all’accordo di pace del 2000, tra i due Paesi è tornata a intensificarsi una guerra di parole che, secondo osservatori regionali, rischia di degenerare in nuove ostilità. Le tensioni si inseriscono in un contesto già fragile, segnato dalle conseguenze del conflitto nel Tigray e dalle rivalità interne all’Etiopia. Le Nazioni Unite hanno espresso “profonda preoccupazione” per l’escalation retorica e hanno invitato entrambe le parti a rispettare l’accordo di Algeri, che aveva posto fine alla guerra di confine. L’ONU teme che l’uscita dell’Eritrea dall’IGAD possa indebolire ulteriormente i meccanismi di dialogo regionale, già messi alla prova da crisi politiche e umanitarie diffuse. Il passo indietro di Asmara non è solo un gesto diplomatico: è il segnale di un equilibrio regionale che torna a inclinarsi. In un Corno d’Africa attraversato da instabilità cronica, la rottura tra Eritrea e IGAD rischia di trasformarsi nell’ennesimo detonatore di tensioni, proprio mentre la comunità internazionale tenta di ricostruire spazi di mediazione.



