Il primo ministro bulgaro Rosen Zhelyazkov ha annunciato le dimissioni del suo governo dopo meno di un anno di mandato, travolto da una mobilitazione popolare senza precedenti. “Il governo si dimette oggi”, ha dichiarato ai giornalisti dopo un incontro con i leader dei partiti al potere, mentre decine di migliaia di cittadini continuavano a riempire le piazze di Sofia e delle principali città bulgare. Le proteste, esplose nelle ultime settimane, hanno denunciato una corruzione sistemica e presunti legami tra esponenti dell’esecutivo e ambienti mafiosi. “Il governo della mafia è finito!”, “Questa volta non ci fregano”, si leggeva sui cartelli dei manifestanti radunati nella piazza dell’Indipendenza, cuore istituzionale della capitale. La bozza di bilancio per il 2026, ritirata dopo le prime manifestazioni, è stata percepita come un tentativo di mascherare pratiche opache e favoritismi. Zhelyazkov, esponente del partito conservatore Gerb, guidava una coalizione con i socialisti del Bsp e il movimento populista “C’è un popolo come questo” (Itn). Il suo esecutivo avrebbe dovuto affrontare oggi il sesto voto di sfiducia in meno di dodici mesi, ma ha scelto di anticipare la resa, evitando lo scontro parlamentare. La protesta ha coinvolto studenti, lavoratori, pensionati e membri della diaspora, uniti dalla richiesta di trasparenza e riforme. “Vogliamo un futuro degno, vogliamo rimanere in Bulgaria”, hanno scandito i giovani in corteo. Secondo l’Osservatorio Balcani Caucaso, si è trattato della più grande mobilitazione dal 1990, con oltre 150mila persone in piazza solo a Sofia. Ora il Paese, il più povero dell’Unione europea, si prepara a entrare nell’eurozona il 1° gennaio, ma lo fa in un clima di profonda instabilità politica e con una classe dirigente chiamata a ricostruire la fiducia dei cittadini.



