Il fenomeno dei contratti pirata continua a erodere valore al lavoro italiano. Lo ha rilevato l’analisi presentata ieri da Confesercenti alla sua Assemblea nazionale, secondo cui nei settori del terziario e del turismo sono stati depositati al Cnel 210 contratti, ma solo 10 risultano firmati da organizzazioni realmente rappresentative. Tutti gli altri applicano condizioni più deboli, generando un effetto economico impressionante: chi li subisce perde oltre 8.200 euro l’anno tra minori salari, welfare ridotto e prestazioni integrative mancanti. Una sottrazione complessiva che arriva a 1,5 miliardi di euro, con ricadute anche sulle casse pubbliche tra imposte e contributi non versati.
Un Paese che lavora di più, ma guadagna meno
Nella sua relazione il Presidente di Confesercenti Nico Gronchi ha evidenziato come l’Italia stia vivendo un paradosso: mentre l’occupazione cresce, il reddito reale diminuisce. Tra il 2019 e il 2024 i redditi da lavoro hanno perso in media 1.700 euro, mentre rispetto al 2007 la caduta complessiva è stimata in oltre 4.000 euro per i dipendenti e quasi 9.800 per gli autonomi. Un impoverimento che pesa sui consumi interni e indebolisce la coesione economica e sociale. Gronchi ha parlato di “urgenza di riportare qualità e legalità contrattuale al centro del sistema”, chiedendo una detassazione estesa degli aumenti previsti dai rinnovi e una distinzione netta tra contratti autenticamente rappresentativi e contratti pirata, così da indirizzare correttamente benefici e incentivi fiscali. Secondo Confesercenti gli effetti dei contratti pirata non si limitano alla perdita salariale individuale: incidono direttamente sulla vitalità dell’economia italiana, soprattutto nei settori più esposti alla domanda interna. Il taglio cumulato di 1,5 miliardi l’anno sottrae risorse ai consumi, già penalizzati dalla lunga stagione inflattiva che ha eroso la capacità di spesa delle famiglie. La stessa associazione osserva come la dinamica dei consumi, pur segnata da un lieve recupero nel 2025, resti debole rispetto ai livelli pre-pandemia, con un divario che colpisce soprattutto il commercio di prossimità e il turismo a bassa marginalità. A questo si aggiunge l’aumento dei costi fissi che grava sulle micro e piccole imprese: dall’energia ai canoni di locazione, fino ai servizi bancari, un insieme di fattori che comprime i margini e limita la possibilità di investire in innovazione e occupazione stabile.
Confesercenti ha messo inoltre in guardia dal rischio di “desertificazione commerciale” nelle aree urbane e nei piccoli comuni, dove ogni chiusura di attività sottrae non solo servizi, ma anche presidio sociale. Secondo l’associazione, senza un quadro retributivo equo e contratti realmente rappresentativi diventa più difficile attrarre manodopera qualificata, trattenere i giovani e garantire la competitività dell’intero comparto. Il dumping contrattuale crea dunque un doppio danno: abbassa i salari e altera la concorrenza, favorendo modelli d’impresa che competono al ribasso anziché sulla qualità. È per questo che Confesercenti chiede interventi normativi selettivi, capaci di premiare le imprese che rispettano le regole e contribuiscono alla crescita complessiva del Paese.
Il richiamo di Mattarella
Nel suo messaggio agli associati il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che il lavoro autonomo e d’impresa rappresenta un pilastro dell’economia nazionale, ma ha richiamato anche il principio cardine dell’articolo 36 della Costituzione. Salari e redditi, ha affermato, devono essere coerenti con il dettato costituzionale e con la dignità del lavoro, un monito che si inserisce pienamente nel dibattito aperto da Confesercenti sul rischio di una normalizzazione del lavoro sottopagato e non tutelato
Occupazione ai massimi, ma il nodo salariale resta aperto
Un messaggio all’Assemblea è stato inviato anche dalla Ministra del Lavoro Marina Calderone che ha sottolineato come il Paese abbia raggiunto livelli occupazionali mai toccati prima, con un incremento significativo dei contratti stabili. Ma allo stesso tempo la Ministra ha riconosciuto che la crescita non basta: dopo 18 anni di salari reali in caduta, solo negli ultimi due anni si osserva una risalita superiore al tasso d’inflazione, ma il divario rimane ampio. Calderone ha ribadito che la prossima manovra destinerà 2 miliardi al lavoro, dalla detassazione dei rinnovi contrattuali all’ampliamento degli incentivi alla produttività, fino all’aumento della soglia di esenzione fiscale dei buoni pasto elettronici. Ha ricordato inoltre che la stabilità politica italiana è un elemento distintivo in Europa e che imprese e lavoratori devono poter contare su un quadro solido in cui programmare investimenti e crescita



