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Istat: nel 2023 occupazione al 61,5%, ma restano divari tra redditi, territori e generazioni

mercoledì, 26 Novembre 2025
2 minuti di lettura

L’Italia del lavoro nel 2023 emerge dal nuovo studio dell’Istat come un Paese che cresce, recupera terreno e prova a lasciarsi alle spalle gli shock degli ultimi anni, ma che continua a essere segnato da profonde differenze sociali e territoriali. Il focus, elaborato integrando i dati reddituali delle famiglie con le informazioni occupazionali individuali, offre una fotografia più nitida del mercato del lavoro italiano, permettendo di coglierne non solo l’andamento generale, ma anche le dinamiche interne che ne modellano l’evoluzione. Il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni sale al 61,5%, consolidando un recupero iniziato dopo la crisi pandemica. Parallelamente scendono disoccupazione e inattività, segno che più persone sono tornate a cercare e ottenere un’occupazione. L’Istat sottolinea come questa crescita non sia distribuita in modo uniforme: riguarda soprattutto le fasce di reddito più basse, che nel 2020 avevano subito gli effetti più pesanti dell’emergenza sanitaria ed economica. Le famiglie del quinto più povero mostrano infatti un aumento del tasso di occupazione pari a 2,7 punti, un ritmo quasi doppio rispetto alla media. Anche il secondo e il terzo quinto registrano incrementi superiori ai due punti, confermando che la ripresa ha avvantaggiato soprattutto chi partiva da condizioni più fragili.

Differenze territoriali

Lo studio evidenzia inoltre importanti differenze territoriali. Nord-est e Mezzogiorno registrano gli incrementi più consistenti, con una crescita di 1,5 punti percentuali. Tuttavia, la composizione interna di questi territori rivela dinamiche ancora più significative: nel Nord-est, il quinto di reddito più basso cresce di oltre cinque punti, mentre al Centro l’aumento della stessa fascia supera i tre punti. È un segnale che mostra come il miglioramento si stia concentrando proprio nelle aree e nei gruppi che più avevano sofferto. Rimane però qualche area di fragilità, come il lieve calo del tasso di occupazione nel quinto più ricco del Centro. Decisivi, secondo l’Istat, sono i contributi generazionali. I giovani tra i 25 e i 34 anni raggiungono un tasso di occupazione del 68,1%, in forte aumento specialmente tra le famiglie con meno risorse. Parallelamente, la fascia dei 55-64enni registra la crescita più elevata, a conferma di una forza lavoro che invecchia ma continua a essere parte attiva del sistema produttivo. Più incerto è invece il quadro dei giovanissimi, che nei livelli di reddito più alti scelgono spesso di prolungare gli studi.
Lo studio mette in luce anche divari persistenti, in particolare di genere. Nelle fasce più povere, gli uomini hanno tassi di occupazione decisamente superiori rispetto alle donne: nel secondo quinto il divario supera i 27 punti percentuali. Le differenze si attenuano solo nei livelli di reddito più elevati, dove le opportunità femminili si avvicinano maggiormente a quelle maschili. Anche l’istruzione resta una discriminante fondamentale: tra i laureati del quinto più ricco il tasso di occupazione raggiunge il 90%, distanziando nettamente chi ha solo un titolo di studio di base.
In termini di tipologia contrattuale, l’Istat segnala un rafforzamento dei contratti stabili. I lavoratori a tempo indeterminato aumentano in modo significativo, raggiungendo oltre il 41% degli individui in età da lavoro, con una crescita particolarmente accentuata nelle fasce centrali della distribuzione del reddito. I contratti a termine mostrano invece una lieve contrazione, con l’eccezione delle famiglie più povere, dove il lavoro temporaneo continua a rappresentare una delle principali forme di ingresso nel mercato.

Basso reddito

Resta però elevata la concentrazione in professioni a basso reddito: un quarto degli occupati svolge attività scarsamente remunerate, spesso caratterizzate da stagionalità o cicli occupazionali intermittenti. Non stupisce quindi che oltre il 40% dei nuovi occupati del 2023 abbia trovato impiego in queste categorie. Allo stesso tempo si osserva una crescita delle professioni a reddito medio-alto, grazie anche agli investimenti pubblici e privati degli ultimi anni.

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