Dopo sei mesi in orbita, gli astronauti della missione cinese Shenzhou 20 sono tornati sulla Terra, atterrando con successo nella regione autonoma della Mongolia Interna. Ma il rientro è stato tutt’altro che ordinario: a poche ore dalla discesa, il modulo orbitale ha dovuto effettuare una manovra evasiva d’emergenza per evitare una nube di detriti spaziali provenienti da un satellite russo dismesso. La capsula, con a bordo tre taikonauti, ha toccato il suolo alle 08:42 ora di Pechino, accolta da squadre di recupero e medici militari. I membri dell’equipaggio — il comandante Zhang Lu, l’ingegnere di volo Li Min e la specialista scientifica Zhou Yilin — sono apparsi provati ma sorridenti, dopo aver trascorso 180 giorni a bordo della stazione spaziale Tiangong. Secondo l’Agenzia spaziale cinese (CNSA), l’allarme è scattato 36 ore prima del rientro, quando i radar hanno rilevato frammenti in rotta di collisione con il modulo di servizio. “Abbiamo seguito i protocolli di sicurezza e modificato la traiettoria,” ha spiegato il portavoce della CNSA. “La sicurezza dell’equipaggio è sempre la nostra priorità.” L’episodio riaccende il dibattito sulla gestione dei rifiuti spaziali, un problema crescente con oltre 30.000 oggetti catalogati in orbita e migliaia di frammenti non tracciabili. La Cina ha chiesto una riunione straordinaria del Comitato ONU per l’uso pacifico dello spazio, denunciando “negligenza internazionale” nella sorveglianza dei detriti. La missione Shenzhou 20 ha portato avanti esperimenti su biotecnologie, materiali avanzati e osservazione terrestre. È la quarta rotazione completa sulla Tiangong, e segna un ulteriore passo verso l’autonomia cinese nello spazio. Per Zhang Lu e i suoi compagni, il ritorno è stato un trionfo tecnico — ma anche un promemoria: lo spazio non è solo esplorazione, è anche rischio crescente.



