Il 29 e 30 ottobre, la capitale economica della Tanzania è stata teatro di proteste diffuse e violente in seguito alle contestatissime elezioni presidenziali e legislative, che hanno visto la riconferma della presidente Samia Suluhu Hassan con il 96,99% dei voti. Le manifestazioni, guidate da giovani attivisti e sostenitori dell’opposizione, sono esplose dopo l’esclusione dei principali candidati rivali, tra cui Tundu Lissu, arrestato con l’accusa di tradimento. Secondo Internazionale e Avvenire, centinaia di manifestanti hanno marciato per le strade di Dar es Salaam, incendiando commissariati, stazioni di servizio e seggi elettorali. La polizia ha risposto con gas lacrimogeni e proiettili veri, mentre l’esercito ha dispiegato carri armati agli incroci principali. Il governo ha imposto un coprifuoco totale e ha bloccato l’accesso a Internet in tutto il Paese. Le proteste si sono estese anche ad Arusha e Dodoma, con almeno due morti confermati da Amnesty International. Le immagini diffuse mostrano auto e moto bruciate, mentre i manifestanti gridavano “Restituiteci il nostro Paese”. La presidente Hassan, in carica dal 2021 dopo la morte di John Magufuli, ha difeso la legittimità del voto, ma secondo Il Post e Al Jazeera, il suo governo ha ostacolato l’opposizione con metodi repressivi, impedendo la candidatura di diversi avversari e arrestando attivisti. La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione. Le proteste, guidate in gran parte dalla Generazione Z, riflettono una frustrazione profonda verso un sistema percepito come chiuso e autoritario. Mentre la Commissione elettorale prosegue lo scrutinio, il Paese resta diviso e sotto tensione.
 
             
				
 
            


 
                