Il primo ministro britannico, Keir Starmer, ha autorizzato la pubblicazione parziale delle dichiarazioni di un testimone chiave coinvolto nel caso di spionaggio cinese che ha scosso Westminster. Il documento, reso pubblico ieri pomeriggio, contiene accuse circostanziate su presunte attività di infiltrazione da parte di agenti legati al Ministero della Sicurezza di Stato cinese, con l’obiettivo di influenzare funzionari, accademici e membri del Parlamento. Il testimone, identificato solo come “Fonte 7”, è un ex collaboratore di un think tank con sede a Cambridge, e avrebbe fornito prove di contatti tra diplomatici cinesi e figure strategiche nel mondo politico britannico. “Non si trattava di semplici scambi culturali,” si legge nel documento. “Era una penetrazione sistematica nei gangli istituzionali, con l’intento di modellare decisioni e orientamenti.” La decisione di Starmer di rendere pubblica parte della testimonianza ha diviso l’opinione pubblica. Da un lato, i sostenitori della trasparenza applaudono il gesto come segnale di fermezza; dall’altro, alcuni esponenti conservatori accusano Downing Street di mettere a rischio la sicurezza nazionale e di politicizzare un’indagine ancora in corso. Il primo ministro ha difeso la scelta in conferenza stampa: “La democrazia si difende anche con la luce. I cittadini hanno il diritto di sapere se esistono tentativi di manipolazione da parte di potenze straniere.” Ha poi annunciato la creazione di una commissione parlamentare speciale per monitorare le interferenze esterne, con poteri rafforzati rispetto al comitato Intelligence and Security. Pechino ha reagito con durezza, definendo le accuse “prive di fondamento e frutto di isteria geopolitica”. L’ambasciata cinese a Londra ha convocato il vice ministro degli Esteri britannico per protestare formalmente, mentre il Global Times ha parlato di “provocazione irresponsabile”.
