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La tregua appesa a un filo: corpi restituiti, Idf: “Uno non di ostaggio”. Braccio di ferro su disarmo e aiuti

Tajani: “Filo di speranza solido”. Hamas denuncia: "Grave violazione dell'accordo con l'uccisione di civili a Shejaiya e Rafah".
giovedì, 16 Ottobre 2025
2 minuti di lettura

La tregua raggiunta a Sharm el-Sheikh resta fragile. Ieri, mercoledì 15 ottobre, Hamas ha consegnato in Israele quattro salme: secondo l’Idf, però, una non appartiene a un ostaggio ma a un palestinese della Striscia. Le altre tre sono state identificate come Uriel Baruch (35 anni), Tamir Nimrodi (19) ed Eitan Levy (53). Con la nuova consegna, i corpi restituiti salirebbero a 12; ne resterebbero 16 da recuperare, molti sepolti sotto macerie di edifici e tunnel o in aree ancora controllate dall’esercito israeliano. Ma emergono anche ombre pesanti sullo scambio di salme: la Cnn riferisce che Israele ha trasferito all’ospedale Nasser di Khan Yunis 45 corpi di palestinesi senza nome, consegnati dalla Croce Rossa. Secondo il reparto di medicina legale, molte salme sarebbero arrivate con arti legati e segni di ferite da arma da fuoco o da schiacciamento; il ministero della Sanità di Gaza lamenta l’assenza di elenchi nominativi. Tel Aviv non commenta nel merito, ma l’Idf ribadisce che Hamas “deve fare ogni sforzo per restituire tutti gli ostaggi deceduti”. Sul fronte umanitario, entra ossigeno da Kerem Shalom: ieri sono passati 600 camion di aiuti. Resta invece un rebus il valico di Rafah. Alcuni media israeliani riferiscono che potrebbe riaprire oggi, giovedì 16 ottobre, dopo la revoca di nuove restrizioni; altre fonti della sicurezza, al contrario, parlano di chiusura prolungata per ragioni logistiche e di sicurezza. In ogni caso l’ipotesi più accreditata prevede una riapertura sotto supervisione della missione Ue EUBAM, per persone e veicoli.

In trattativa la “fase due”

Intanto, si delinea già la “fase due” del piano: gestione della Gaza postbellica, ruolo (o esclusione) di Hamas, disarmo e smilitarizzazione. Da fonti statunitensi filtra che Hamas sarebbe pronta a cedere le armi pesanti – razzi e missili – a un’entità palestinese o araba, mantenendo però le armi leggere per “autodifesa”. La linea israeliana è opposta. In un’intervista alla CBS, Benjamin Netanyahu ha avvertito: “Hamas si disarmi o esploderà tutto”. Sulla stessa scia Donald Trump: “Se non consegnano le armi, lo faremo noi, rapidamente e con la forza”.

Tajani: “Il filo di speranza si rafforza”

Da parte sua, il ministro degli Esteri Antonio Tajani parla di “successo ancora legato a un filo, ma solido” e sostiene che il riconoscimento dello Stato di Palestina “è ora più vicino”, a condizione di una Gaza provvisoriamente affidata a un controllo internazionale con partecipazione dei Paesi islamici e di una Anp “profondamente rinnovata”. Tajani annuncia inoltre che Abu Mazen sarà a Roma venerdì 7 novembre, anche in vista dei Dialoghi Mediterranei.

Smotrich e Ben Gvir riaprono il fronte interno

Dalla destra del governo arrivano messaggi che complicano il quadro. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha promesso “insediamenti ebraici a Gaza”, rievocando lo slogan “Gush Katif”, nonostante l’intesa non contempli alcuna colonizzazione. E il titolare della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir invoca la “cancellazione” di Hamas, definendo “vergognoso” ogni cedimento. A terra, la violenza non si ferma. L’agenzia Wafa denuncia il sequestro di quattro palestinesi da parte di un colono vicino a Ramallah, con l’intervento dei militari a protezione del colono e l’arresto di due dei giovani rapiti. Hamas, dal canto suo, accusa Israele di aver violato l’accordo uccidendo civili a Shejaiya e Rafah e chiede ai mediatori di “imporre il rispetto degli impegni”.

Netanyahu in tribunale, Trump invoca la grazia

Sul piano interno israeliano, Netanyahu – impegnato nelle ore clou della tregua – chiede di accorciare la testimonianza nel processo per corruzione per una bronchite in corso. All’esterno del tribunale proseguono le proteste. Lunedì Trump, intervenendo alla Knesset, ha persino evocato una grazia per il premier, sminuendo uno dei capi d’accusa (“sigari e champagne, a chi importa?”). Resta pendente anche il mandato di arresto della Corte penale internazionale per i presunti crimini commessi a Gaza.

Pretoria non ritira la denuncia per genocidio

Sul dossier giuridico internazionale, Pretoria non arretra: il presidente Cyril Ramaphosa conferma che il Sudafrica manterrà il ricorso per genocidio contro Israele alla Corte internazionale di giustizia. La relatrice Onu Francesca Albanese approva: “Pace senza giustizia non è sostenibile”.

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