Il Sindaco di Capalbio, Gianfranco Chelini, ripercorre le tappe fondamentali della Riforma Fondiaria che cambiò il volto di alcune aree italiane depresse, come la Maremma, a opera della DC. Da Fanfani a De Gasperi, la classe dirigente che trasformò l’Italia del Dopoguerra, seguendo un visione di Paese che andrebbe recuperata.
Sindaco, Capalbio è spesso associata a una sinistra radical chic, ma in realtà la storia ci racconta altro, di un profondo legame con il nostro fondatore Alcide De Gasperi e il suo partito, ci vuole raccontare?
Tutta quella classe dirigente è riuscita a fare una cosa impensabile, basta ricordarne i nomi: De Gasperi, La Pira, Dossetti, Fanfani. Sono stati interpreti di una riforma che è stata di per se stessa la più grande forma di redistribuzione di reddito mai avvenuta in questo Paese. Con la legge Sila e poi con la Legge Stralcio sono stati espropriati centinaia di migliaia di ettari al latifondo improduttivo e sono stati dati in proprietà ai piccoli coltivatori diretti, che prima erano braccianti o mezzadri, costruendo una borghesia contadina che nel nostro Paese non esisteva. Questa è stata una grande vittoria di quella Democrazia Cristiana, in un momento molto difficile, perché c’era la destra liberale, c’erano i comunisti, c’erano i socialisti e tutti fecero un’azione di interdizione rispetto a questa riforma. Ma quella era una classe di dirigente che aveva la forza di far emergere un pensiero incredibile, altro che “Capalbio radical chic”.
Fanfani a me ricorda più Simon Bolivar che non un radical chic, perché chi leva al latifondo improduttivo per darlo ai contadini in proprietà rappresenta davvero un modello di governo oggi impensabile, tanto importante. E quella storia la dobbiamo raccontare fino in fondo, perché noi siamo in un mondo in cui, lo dico da sindaco, per aprire una finestra ci vuole un anno, mentrein quel periodo la riforma maturò in 29 mesi, dettero un podere ogni sei ore, costruirono 60 scuole, 40 chiese, 1.000 chilometri di strade, 1.200 chilometri di acquedotto, levando la seta alla Maremma. E parlo solo di questo per economia di tempo. Quello era il segno di un’efficienza e di un’efficacia nell’azione amministrativa e della capacità di avere un pensiero, una direzione per l’intero Paese che si è assolutamente smarrita.
La memoria però purtroppo tende a perdersi, quindi sarebbe anche importante far conoscere questo racconto ai giovani, magari nelle scuole. Avete previsto qualche programma?
Lo facciamo costantemente, ma non solo su quello, anche sul segno urbanistico edilizio che ha lasciato la Riforma Fondiaria qui da noi. Abbiamo visto nel tempo procedere alla sostituzione edilizia di quegli oggetti riconoscibili architettonicamente e io mi impegno nel prossimo Piano Regolatore a non far fare più la sostituzione edilizia dei poderi dell’Ente Maremma, perché rimanga anche un segno architettonico che racconta una storia che ha una vivacità impensabile.
Io so che lei ha anche degli aneddoti curiosi da raccontarci…
La Legge Stralcio (tutti la chiamano Riforma Fondiaria o Riforma Agraria) è del ‘50 e il 20 dicembre del ‘51 Fanfani viene a Grosseto, all’Alberese, monta su una cassetta e dice che entro un anno avrebbe consegnato le 79 case che aveva promesso ai braccianti e consegnato i primi podere. L’anno successivo, il 16 di dicembre, Fanfani montò sulla solita cassetta e agli astanti l’incipit fu questo: “Con quattro giorni di anticipo vengo a consegnare le 79 case ai abbraccianti”. Questo è un aneddoto che racconta l’efficienza di quella classe dirigente, la puntualità e la precisione con cui venivano rispettate le promesse che si facevano.
E di questa storia cosa rimane oggi?
Rimane molto. Basti pensare che nel primo Dopoguerraun Paese completamente analfabeta eleggeva nella Costituente il 90% di laureati e quel 10% che non lo era rispondeva ai vertici delle professioni, dell’arte, dell’artigianato, dell’industria. E oggi un Paese completamente scolarizzato restituisce un Parlamento dove le percentuali dei laureati sono minori, dove c’è gente a reddito zero. Questo fa capire che un Paese analfabeta sceglieva i migliori per essere governato, mentre oggi tutto questo è smarrito.
Bisogna, quindi, ricostruire il pensiero. È importante l’opera che voi fate con il vostro giornale, perché nelle varie tradizioni che ci sono, c’è la grandissima tradizione democratica-cristiana, che è senza dubbio la più importante perché è quella che ha guidato i processi del Dopoguerra, è quella più attiva nella Costituente, è quella che da De Gasperi in poi ha governato il Paese per 50 anni, ma con rispetto. Vedete, quando la Democrazia Cristiana vinse, nonostante avesse la maggioranza assoluta, prese gli alleati a governare con lei, perché i punti di vista diversi erano sempre fondamentali per avere un’idea più complessiva del Paese.
D’altra parte la DC era un partito interclassista, che guardava tutta la società italiana. La descrivevano come un corpo molle, invece era un grande corpo con una grande testa, non un grande corpo con piccole teste come sono i partiti che di volta in volta raggiungono il 35%.
La sua nostalgia è tangibile, ma le è mai capitato di salire sulla cassetta della frutta?
A me piace molto la prospicienza con la società, con le persone, con i loro bisogni, con le loro aspirazioni, con i loro sogni, è la parte bella del mio mestiere, si fa solo con generosità, avendo la capacità di avere relazioni coerenti con la comunità che amministri. E sapendo che ho questa matrice democratico cristiana, vengono da me e mi dicono: “Ma lo sai che Di Maio è democristiano?” Io gli dico che non basta il passo felpato e un po’ di calma per potersi definire democratici cristiani, per farlo bisogna aver vissuto quella storia, averla studiata, avere rispetto delle Istituzioni. Voi vi immaginate un democristiano che andava sul balcone e diceva che aveva sconfitto la povertà? E questo senza nessun giudizio di merito su Di Maio, dico che è proprio uno stile di governo. Noi veniamo da una storia dove Aldo Moro andava al mare con la giacca, non si spogliava perché era poco consono. Quindi essere democristiani è proprio un’altra cosa, non basta essere calmi.