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Cina, condannati a morte i boss della truffa: smantellato impero criminale da miliardi

martedì, 30 Settembre 2025
1 minuto di lettura

Undici condanne a morte. È il verdetto pronunciato dal tribunale di Wenzhou contro i membri della famiglia Ming, potente clan mafioso cinese accusato di aver gestito per anni un impero criminale transfrontaliero da oltre 1,4 miliardi di dollari. Il gruppo operava da Laukkai, cittadina nel nord del Myanmar, trasformata in una “scam city” — centro nevralgico di frodi online, casinò illegali, traffico di droga e sfruttamento della prostituzione. Secondo le autorità, i Ming avevano creato veri e propri lager digitali: capannoni blindati dove migliaia di persone venivano tenute prigioniere e costrette a truffare vittime in tutto il mondo. Il complesso più noto, la “Crouching Tiger Villa”, era teatro di torture, pestaggi e persino esecuzioni sommarie per chi tentava la fuga. In totale, sono 39 gli imputati condannati: oltre agli 11 destinati all’esecuzione immediata, cinque hanno ricevuto la pena capitale con sospensione biennale, undici l’ergastolo, e gli altri pene detentive fino a 24 anni. La sentenza segna uno dei colpi più duri inferti da Pechino al crimine organizzato digitale, definito dalle Nazioni Unite una vera “scamdemic” che ha coinvolto oltre 100mila persone. L’ascesa dei Ming si è interrotta nel 2023, quando un’alleanza di gruppi insorgenti ha conquistato Laukkai, con il tacito assenso di Pechino. Molti membri del clan sono stati arrestati e rimpatriati. Il patriarca Ming Xuechang si sarebbe suicidato, mentre altri hanno rilasciato confessioni pubbliche. La Cina, che mantiene uno dei più alti tassi di esecuzioni al mondo, ha scelto la linea dura. E dietro la giustizia, resta il monito: l’era delle truffe digitali impunite è finita

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