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Veto USA al cessate il fuoco ONU, tensione in crescita tra Gaza, Cisgiordania, Libano

Chiusi due valichi in Cisgiordania. 480mila palestinesi fuggiti da Gaza City. Sciopero generale della CGIL contro il genocidio. Partita la Flotilla italiana dal siracusano
sabato, 20 Settembre 2025
3 minuti di lettura

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato ieri, con 14 voti favorevoli e il solo voto contrario degli Stati Uniti, una risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco “immediato e permanente” nella Striscia di Gaza, il rilascio degli ostaggi e la rimozione delle restrizioni agli aiuti. Il veto americano ha fatto saltare il provvedimento, isolando Washington e riaccendendo le frizioni dentro e fuori dal Palazzo di Vetro.

Per la delegazione Usa il testo non condannava Hamas e creava un “falso parallelo” con Israele: “La guerra potrebbe finire oggi se Hamas rilasciasse gli ostaggi”, ha affermato la rappresentante americana. Dura la reazione palestinese. L’ambasciatore Ryad Mansour ha parlato di “fallimento” della comunità internazionale: “Gaza è la prova definitiva. Israele non ha il diritto di massacrare i palestinesi né di affamarli o sfollarli”. Critiche anche dalla Cina: l’ambasciatore Fu Cong ha espresso “profonda delusione”, esortando gli Stati Uniti ad allinearsi alla maggioranza per fermare le ostilità.

Dal mondo religioso arriva la voce del patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa: “Quanto accade a Gaza è di gravità enorme. Non capisco come si possa tollerare: le ragioni di Israele non possono giustificare ciò che vediamo”. Un appello che evidenzia l’impasse morale e politico del conflitto. Ma intanto a New York, dove da lunedì si apre l’Assemblea generale, il sindaco Eric Adams ha fatto sapere che incontrerà Benjamin Netanyahu: “Sarà accolto come gli altri dignitari, esiste l’immunità diplomatica”, ha ricordato, dopo che un candidato sindaco ha evocato l’ineseguibile ipotesi di un arresto in base al mandato della Cpi, che negli Stati Uniti non ha giurisdizione.

Gaza City e Valichi

Sul terreno l’offensiva israeliana su Gaza City continua: secondo l’Idf circa 480mila persone — quasi la metà della popolazione originaria dell’area urbana — sono fuggite verso sud. L’esercito ha annunciato che opererà con “una forza senza precedenti” e ha diffuso nuovi ordini di evacuazione. In Cisgiordania, all’alba di ieri, operazioni a Nablus, Ramallah e Beitunia: arresti mirati, mentre l’Idf ha comunicato oltre 75 fermi nell’ultima settimana.

Alle frontiere la situazione resta tesa. Dopo l’attacco di ieri che ha ucciso due soldati israeliani, Israele ha chiuso fino a nuovo avviso il valico di Allenby con la Giordania; bloccato anche il passaggio settentrionale sul fiume Giordano, mentre il valico di Rabin resta aperto solo ai lavoratori. La stretta accentua l’isolamento della Cisgiordania e complica la logistica degli aiuti verso Gaza. Intanto le autorità palestinesi in Cisgiordania hanno arrestato Hicham Harb, 70 anni, ex quadro del gruppo di Abu Nidal, ritenuto organizzatore degli attentati del 1982 alla sinagoga di Roma e al ristorante Jo Goldenberg a Parigi. La Francia chiede l’estradizione; in Italia si riapre un dossier rimasto a lungo sospeso. Per il presidente Emmanuel Macron si tratta di “un passo importante verso diritto e verità”.

Flotilla

Nel Mediterraneo si muove la società civile: dal porticciolo di Portopalo di Capo Passero (Siracusa) è salpata la Global Sumud Flotilla. Quarantadue barche dirette verso Gaza — affiancate da altre sei partite dalla Grecia — annunciano una missione umanitaria e politica. “Stavolta non ci fermiamo”, ha detto la portavoce Maria Elena Delia, evocando lo slogan “Restiamo umani”. In Italia, intanto, la Cgil ha proclamato per ieri uno sciopero generale contro “il genocidio”.

Libano

Il conflitto riverbera su altri fronti. In Libano, l’Unifil ha condannato i raid israeliani nel sud del Paese come violazioni della risoluzione 1701, avvertendo che mettono a rischio la fragile tregua di novembre e la sicurezza di caschi blu e civili. Sulla direttrice yemenita, il ministro israeliano Israel Katz ha minacciato gli Houthi: “La bandiera israeliana sventolerà un giorno su Sana’a”, ricordando gli scambi di attacchi degli ultimi mesi e l’ultimo drone esplosivo su Eilat.

9mila israeliani per riconoscimento Palestina

Dentro Israele si registrano segnali di frattura e di ricerca di sbocchi politici. Quasi 9mila cittadini hanno firmato una petizione che chiede alla comunità internazionale di riconoscere lo Stato di Palestina in vista del vertice del 22 settembre a New York, co-presieduto da Arabia Saudita e Francia e atteso al possibile via libera di Regno Unito, Francia, Canada, Australia e Belgio. Un sondaggio di Channel 12 indica che, se si votasse oggi, l’opposizione potrebbe raggiungere 61 seggi senza il sostegno dei partiti arabi: il Likud resterebbe primo con 24, ma emergerebbero forze come “Bennett 2026” (21) e Yisrael Beytenu (11), ridisegnando gli equilibri.

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