“Ehi ragazzi, ho una brutta notizia per tutti voi. Ero io alla UVU ieri. Mi dispiace per tutto questo.” Con queste parole, scritte in una chat privata su Discord, Tyler Robinson, 22 anni, ha confessato l’omicidio dell’attivista conservatore Charlie Kirk, avvenuto durante un evento alla Utah Valley University. La confessione, intercettata dall’FBI grazie alla collaborazione di alcuni utenti, ha confermato i sospetti già emersi nelle ore successive all’attentato. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, intervenuto durante una commemorazione pubblica in Arizona, ha attribuito la responsabilità ideologica dell’attacco alla “sinistra radicale online”. “Robinson si è radicalizzato su internet, leggendo contenuti pieni di odio contro i patrioti americani,” ha dichiarato Trump, aggiungendo che “la violenza politica oggi arriva da sinistra, non da destra”. Secondo fonti investigative, Robinson viveva con un partner transgender a Saint George, nello Utah, e frequentava forum e gruppi online con posizioni fortemente anti-conservatrici. L’FBI ha acquisito messaggi e materiali digitali che indicano un processo di radicalizzazione avvenuto negli ultimi sei mesi, alimentato da meme, video e discussioni su piattaforme non monitorate. La confessione ha scatenato un’ondata di reazioni: mentre la base conservatrice chiede giustizia e maggiore controllo sui contenuti online, gruppi progressisti invitano alla cautela, sottolineando che l’identità politica del killer non può giustificare una repressione ideologica. Intanto, il Texas ha avviato un’indagine su oltre cento insegnanti per commenti ritenuti inappropriati sulla morte di Kirk, alimentando il clima di tensione nazionale. L’omicidio di Charlie Kirk si trasforma così in un caso emblematico: non solo per la sua gravità, ma per il modo in cui la violenza digitale può sfociare in atti reali. E mentre la politica si divide, la rete torna sotto i riflettori come terreno di scontro e radicalizzazione.