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Fisco e servizi. La Cgia: entrate allo Stato e le spese agli enti locali

Nel 2023 Roma ha incassato l’86% del gettito tributario, mentre Regioni e Comuni hanno sostenuto il 44% della spesa pubblica. Per l’Ufficio studi si tratta di uno squilibrio “preoccupante”
domenica, 14 Settembre 2025
2 minuti di lettura

Nel 2023 il gettito tributario complessivo in Italia ha toccato quota 613,1 miliardi di euro, una cifra che conferma la pressione fiscale elevata cui sono sottoposti famiglie e imprese. Tuttavia, a preoccupare non è soltanto il peso del fisco, ma anche la distribuzione delle risorse tra Stato centrale e autonomie locali.Secondo l’Ufficio studi della Cgia, ben 529,4 miliardi (pari all’86% del totale) sono finiti direttamente nelle casse dello Stato, mentre appena 83,7 miliardi (14%) hanno alimentato i bilanci di Regioni, Province e Comuni. Sul fronte della spesa, invece, la situazione si ribalta: al netto di pensioni e interessi sul debito, il totale ha raggiunto 644 miliardi, di cui 362 miliardi (56%) gestiti da Roma e ben 281 miliardi (44%) da amministrazioni locali.

Emerge così una contraddizione evidente: i cittadini versano la quasi totalità delle imposte al centro, ma quasi metà della spesa per servizi essenziali (sanità, trasporto pubblico, edilizia popolare, assistenza sociale) è sostenuta dalla periferia. Regioni e Comuni, però, non dispongono di risorse autonome sufficienti e sono costretti a dipendere dai trasferimenti statali, spesso vincolati a criteri rigidi o alla capacità di contrattazione politica.

Il peso delle imposte

Entrando nel dettaglio delle principali entrate, l’Irpef si conferma l’imposta più onerosa: nel 2023 ha portato nelle casse dello Stato 208,4 miliardi di euro. Segue l’Iva con 140 miliardi, quindi l’Ires con 49,7 miliardi. Per le Regioni, la fonte più rilevante è l’Irap (28,9 miliardi), seguita dall’addizionale regionale Irpef (13,5 miliardi) e dal bollo auto (6,6 miliardi). Le Province si finanziano con la Rc auto (2,1 miliardi) e il Pra (1,7 miliardi). I Comuni, invece, possono contare soprattutto su Imu (18,6 miliardi), addizionale comunale Irpef (5,7 miliardi) e concessioni edilizie (1,7 miliardi).

Il risultato è paradossale: i cittadini spesso pagano due volte per lo stesso servizio. Prima attraverso la fiscalità generale e poi, a livello locale, con ticket sanitari, addizionali o imposte dedicate. Una conseguenza diretta della scarsa autonomia finanziaria delle amministrazioni territoriali.

Autonomia differenziata e residuo fiscale

Questa sproporzione ha alimentato richieste crescenti di autonomia differenziata. Veneto e Lombardia, le due Regioni più penalizzate nel rapporto dare/avere con lo Stato, già nel 2017 hanno organizzato referendum consultivi per chiedere maggiori competenze e risorse. Il tema si lega al concetto di residuo fiscale, cioè la differenza tra quanto una regione versa allo Stato e quanto riceve indietro in servizi e trasferimenti. La Banca d’Italia è l’unico ente a calcolarlo: gli ultimi dati, risalenti al 2019, mostrano come tutte le Regioni ordinarie del Nord, eccetto la Liguria, registrino un saldo negativo. In Veneto il residuo pro capite è pari a -2.680 euro, in Lombardia addirittura -5.090 euro.

Al contrario, il Mezzogiorno mostra saldi positivi: +1.380 euro in Campania, +2.440 in Puglia, +2.989 in Sicilia e +3.085 in Calabria. Si tratta di un fenomeno strutturale, legato al livello più basso dei redditi medi e quindi della pressione fiscale nelle regioni meridionali. Non è quindi indice di eccessiva spesa pubblica al Sud, bensì di un meccanismo redistributivo che da decenni trasferisce risorse dal Nord al Mezzogiorno.

Una questione irrisolta

Il rapporto della Cgia sottolinea come, negli ultimi trent’anni, numerose funzioni e servizi siano stati decentrati senza un adeguato trasferimento di risorse o di poteri fiscali. Questo ha prodotto un sistema squilibrato, in cui gli enti locali devono garantire servizi essenziali ma con margini finanziari ridotti, e in cui i cittadini finiscono per subire un doppio onere. La tensione tra centralismo fiscale e richieste di autonomia è quindi destinata a rimanere centrale nell’agenda politica. Da un lato, le regioni più ricche chiedono di trattenere maggiori risorse sul territorio; dall’altro, permane l’esigenza di garantire la coesione nazionale e di sostenere le aree economicamente più deboli.

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