È morto ieri a Bologna Stefano Benni, scrittore, umorista e giornalista che lo scorso agosto aveva compiuto 78 anni. La notizia è stata confermata dalla casa editrice Feltrinelli, con cui aveva pubblicato gran parte dei suoi libri. Da tempo Benni lottava contro una malattia che negli ultimi anni lo aveva costretto a ritirarsi dalla vita pubblica e che, come raccontavano i suoi familiari, gli aveva tolto anche la voce.
Nato a Bologna nel 1947, Benni ha costruito una carriera lunga quasi cinquant’anni. I suoi romanzi e racconti sono stati tradotti in oltre trenta lingue, raggiungendo lettori in Europa, in America Latina e perfino in Asia. Secondo le stime della sua casa editrice, le copie vendute superano i due milioni e mezzo: un traguardo che lo colloca tra gli autori italiani più letti della sua generazione.
Il suo esordio più clamoroso resta Bar Sport, pubblicato nel 1976, un libro che raccontava con ironia e invenzione i personaggi di un bar di provincia. In quelle pagine comparivano figure come il “ragioniere”, il “tecnologico” o il “mitico”, tipi riconoscibili da ogni lettore italiano. Con lo stesso spirito ha continuato negli anni a inventare mondi e storie surreali, dando vita a romanzi come La Compagnia dei Celestini, Terra!, Elianto, Saltatempo e Margherita Dolcevita.
Lo stile e l’uso dei neologismi
Benni era apprezzato per uno stile che univa comicità e satira sociale. Amava creare neologismi, parole inventate da lui per descrivere situazioni assurde o esagerate, e giocava con la lingua come un musicista con le note. La sua scrittura mescolava generi diversi – la favola, il romanzo d’avventura, la parodia – e dietro l’umorismo si celava sempre uno sguardo critico verso la società italiana, le sue ipocrisie e i suoi difetti.
Nelle sue opere comparivano bambini ribelli, animali parlanti, supereroi improvvisati e mondi fantastici. Ma non erano soltanto giochi letterari: attraverso la fantasia Benni affrontava temi seri come l’ingiustizia sociale, l’ambiente, la politica. La sua era una satira che faceva sorridere ma al tempo stesso induceva a riflettere. Molti critici hanno definito il suo modo di raccontare una lente deformante, capace di rendere visibile ciò che spesso si preferisce ignorare.
A ricordarlo per primo è stato il figlio Niclas, che sui social ha scritto un messaggio rivolto ai lettori: “Vi invito a leggere ad alta voce i suoi racconti, sono sicuro che da lassù gli strapperebbe una risata”. Un invito a tenere vive le sue parole non solo sfogliando i libri, ma condividendole come se fossero una conversazione con chi non c’è più.
Reazioni dal mondo culturale
La notizia della morte di Benni ha subito suscitato reazioni nel mondo della cultura e della letteratura. Molti lo hanno definito una delle voci più originali della narrativa italiana dagli anni Ottanta in poi. Riviste e giornali lo hanno ricordato come un autore capace di creare un legame speciale con il pubblico, parlando sia ai ragazzi sia agli adulti, unendo leggerezza e profondità.
Per la redazione di Wired Italia era “una delle lenti più luminose con cui immaginare un mondo diverso”. Nonostante il successo, Benni ha sempre difeso la propria privacy. In più di un’occasione scherzava sulle notizie false circolate sulla sua vita, definendole “invenzioni necessarie per proteggermi”. Raccontava di aver trascorso l’infanzia sulle montagne dell’Appennino, un ricordo che per lui era diventato una sorta di mito personale, sospeso tra memoria e immaginazione.
Molti lettori lo ricordano non solo come autore di romanzi, ma anche come animatore culturale. Ha scritto testi teatrali, poesie, sceneggiature e ha collaborato con musicisti e attori. La sua capacità di contaminare generi diversi ha lasciato una traccia profonda nella letteratura italiana contemporanea.
In un passo de Il bar sotto il mare scriveva:
«Nell’invenzione nulla muore, al contrario la ricchezza e l’indifferenza spengono tutto»
Una frase che oggi suona come un testamento letterario.