L’Etiopia ha ufficialmente inaugurato la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), la più grande diga idroelettrica mai costruita in Africa. Un’opera colossale, alta 145 metri e lunga 1,8 chilometri, che promette di raddoppiare la produzione energetica del Paese e trasformarlo in un hub regionale per le rinnovabili. Ma il debutto della diga, situata sul Nilo Azzurro a pochi chilometri dal confine sudanese, ha riacceso le tensioni con l’Egitto, che considera il progetto una minaccia esistenziale. Il Cairo, che dipende dal Nilo per circa il 90% del proprio fabbisogno idrico, ha denunciato la mossa etiope come “unilaterale e illegale”, accusando Addis Abeba di violare gli accordi internazionali sullo sfruttamento delle acque condivise. Il governo egiziano teme che il riempimento del bacino — che può contenere fino a 74 miliardi di metri cubi d’acqua — possa ridurre drasticamente il flusso verso le terre agricole egiziane, già messe a dura prova dalla crisi climatica. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha cercato di rassicurare i vicini, dichiarando che la diga “non ha causato danni” e che il flusso d’acqua sarà garantito anche nei periodi di siccità. Ma le parole non bastano: Egitto e Sudan chiedono un accordo vincolante sulla gestione della diga, mentre l’Unione Africana e le Nazioni Unite osservano con crescente preoccupazione. Costata oltre 4 miliardi di dollari e finanziata quasi interamente con fondi nazionali, la GERD è diventata un simbolo di orgoglio per l’Etiopia, che ospita in questi giorni il Vertice africano sul clima. Per Addis Abeba, la diga è il primo passo verso l’indipendenza energetica e la leadership ambientale. Per il Cairo, invece, è una diga della discordia, che potrebbe alterare gli equilibri geopolitici del continente.
