I sondaggi per esplorare le intenzioni di voto degli italiani sono diventati simili a montagne russe con improvvise salite e precipitose discese, curve e controcurve, un percorso quasi mai stabile o con lievi oscillazioni.
E questa tendenza ad un’instabilità permanente nel consenso delle formazioni politiche si verifica non solo nei sondaggi, che misurano settimana per settimana la temperatura della politica, ma anche nei risultati elettorali che cristallizzano il quadro del consenso
Dal 2013 in poi questo fenomeno si è accentuato in maniera crescente fino a raggiungere forme esasperate.
Pensiamo all’irruzione sulla scena del Movimento 5 Stelle che al primo colpo prese il 25,5% per balzare poi al 32,7% delle politiche del 2018 e precipitare un anno dopo al 17,1 alle europee. Oggi i sondaggi danno i 5 Stelle oscillanti tra il 14 e il 17%. Sarà questo lo zoccolo duro destinato a permanere stabile nel tempo?
E che dire della Lega? Nel 2013 aveva il 4,08%, la metà del risultato delle politiche del 2008. Ma nel 2018 ha quadruplicato il risultato con il 17,3%, per poi effettuare un grande raddoppio nel volgere di un anno raggiungendo il 34,3% alle europee del 2019. I sondaggi più recenti danno alla Lega 10 punti in meno rispetto al maggio scorso, al 24%.
Stessa sorte è capitata al PD. Nel 2013 aveva il 25,43%, in forte calo rispetto al 33,18 delle precedenti politiche del 2008. Ma alle europee del 2014 con Renzi salì in vetta alle classifiche storiche con il 40,81%, per precipitare nel 2018 ad un misero 18,7%, riprendendosi alle europee del 2019 col 22,7%, e oggi assestato tra il 20 e il 24%.
Peggio è andata a Forza Italia? Nel 2008 l’allora Popolo delle Libertà aveva ben il 37,4%, nel 2013 era già crollato al 21,5% per poi scendere ancora alle europee del 2014, con un debole 16,8% assottigliato nel 2018 al 14% e ridotto ad un misero 8,8% alle europee del 2019. Oggi Forza Italia è accreditata tra il 5 e il 7%.
L’unico partito che ha mantenuto una linea di crescita costante, ma anche esso con improvvisi balzi è stato Fratelli d’Italia.
Nel 2008 non esisteva. Il timido esordio del 2013 lo collocava all’1,9 %. L’anno dopo alle europee aveva già raddoppiato al 3,8%. Nel 2018 alle politiche ancora un passo avanti, al 4,3% cresciuto al 6,4% alle europee del 2019. Da allora, per il partito guidato da Meloni ogni sondaggio segna una crescita che, stando alle ultime rilevazioni si colloca intorno al 14%.
La labilità del consenso è conseguenza di molti fattori.
Innanzitutto l’assenza di solide culture politiche (un tempo si chiamavano ideologie ma è una brutta parola) ha reso labili i punti di riferimento delle formazioni politiche che hanno identità sempre più deboli, imprecisi e fluttuanti.
A questo si aggiunge la scomparsa del modello tradizionale di partito organizzato e il suo diventare fenomeno liquido: l’organizzazione serviva ad avere il polso della base elettorale oggi affidata solo alle variazioni continue dei sondaggi e dava agli elettori la possibilità di esternare dubbi, chiedere chiarimenti ed avere comunque una casa comune in cui discutere.
C’è poi la eccessiva personalizzazione e spettacolarizzazione della politica dovuta al mix di un leaderismo esasperato legato alla presenza eccessiva nei talk show televisivi e all’uso smodato dei social network.
Tutto queste rende il consenso oscillante e sensibile a qualsiasi stormir di fronda e ribalta il rapporto tra leader e base elettorale: il leader non dà la linea ma cerca di dire quello che la base elettorale vuole sentire in quel momento. Per questo, quando gli elettori cambiano improvvisamente canale il leader, che fino a quel momento sembrava il loro profeta, diventa poco più di un deludente chiacchierone se non addirittura un ciarlatano.
Parafrasando la celebre aria del Rigoletto questo tipo di consenso è mobile, qual piuma al vento, muto d’accento e di pensier… è sempre misero chi a lui si affida chi gli confida mal cauto il cuor…
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