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Scuola, un ragazzo su otto senza cittadinanza: più ritardi e abbandoni

Rapporto di Save the Children: il 65% è nato in Italia, ma affronta percorsi più difficili, tra povertà, orientamento penalizzante e pregiudizi
venerdì, 5 Settembre 2025
2 minuti di lettura

La scuola italiana continua a essere lo specchio delle diseguaglianze sociali e culturali del Paese. Tra i banchi, una studentessa o uno studente su otto (12,2%, circa 865mila) non ha la cittadinanza italiana: una quota quadruplicata negli ultimi vent’anni. Più di tre su cinque (65,4%) sono nati in Italia, eppure affrontano un percorso educativo più accidentato dei coetanei di origine italiana, segnato da ritardi, abbandoni e ostacoli che rischiano di compromettere il loro futuro. È quanto emerge dal rapporto ‘Chiamami col mio nome‘, diffuso da Save the Children, che fotografa il vissuto scolastico dei bambini, delle bambine e degli adolescenti con background migratorio. Una ricerca che mette in luce non solo le criticità, ma anche la forza delle aspirazioni di migliaia di giovani che vedono nell’istruzione il principale strumento di riscatto sociale e personale.

Ritardi, dispersione e segregazione scolastica

I dati parlano chiaro. La dispersione implicita, cioè il rischio di non raggiungere competenze minime, tocca il 22,5% degli studenti di prima generazione, quasi il doppio rispetto agli italiani (11,6%). Anche tra le seconde generazioni, seppur in miglioramento, resta al 10,4%.

Il ritardo scolastico riguarda oltre un quarto degli studenti con background migratorio (26,4%) contro appena il 7,9% degli italiani. E più di uno su quattro non completa la scuola secondaria di II grado.

Le scelte alle superiori: liceo lontano, tecnici e professionali più vicini

Le cause sono molteplici: difficoltà economiche (oltre il 40% delle famiglie con figli e genitori stranieri vive in povertà assoluta)orientamento scolastico spesso penalizzante, e fenomeni di segregazione come il ‘white flight’, la fuga di famiglie italiane da scuole con alta presenza di alunni stranieri. Quando arriva il momento di scegliere le scuole superiori, gli studenti con background migratorio si orientano più spesso verso istituti tecnici e professionali, meno verso i licei. Non solo per la necessità di un accesso più rapido al mondo del lavoro, ma anche a causa di pregiudizi che spingono insegnanti e orientatori a indirizzarli verso percorsi considerati “meno impegnativi”.

Anche a parità di rendimento e condizioni economiche, la differenza resta netta: solo il 42,9% delle seconde generazioni sceglie il liceo, contro il 53,7% degli studenti italiani.

L’università rimane una meta difficile: solo il 3,9% degli iscritti è senza cittadinanza italiana. Le aspettative sono significativamente più basse rispetto ai coetanei autoctoni, complici le condizioni economiche e un orientamento scolastico poco inclusivo. Una differenza che si riflette nel mondo del lavoro: appena il 17,5% dei lavoratori stranieri occupa ruoli qualificati, contro oltre il 40% degli italiani.

Il ruolo della cittadinanza

Un elemento chiave che può fare la differenza è la cittadinanza. Secondo uno studio del think tank Tortuga per Save the Children, gli studenti di seconda generazione che la ottengono compiono scelte scolastiche e universitarie più simili a quelle dei coetanei italiani. Non basta da sola a colmare il divario, ma contribuisce a dimezzarlo.Non solo: il riconoscimento della cittadinanza porta benefici anche all’intera società, generando – secondo le stime – fino a 3,4 milioni di euro di ritorni economici ogni 100 nuovi cittadini.

Oltre ai numeri, il dossier raccoglie testimonianze dirette. Leila, oggi al liceo delle scienze umane, ricorda che i professori delle medie le avevano detto che “il liceo non sarebbe riuscita a farlo”. Oggi ha buoni voti e sogna di dimostrare il contrario. Darid vede nel diploma “un modo per rendere fieri i miei genitori”, mentre Daniel sottolinea il valore identitario della cittadinanza: “Quel pezzo di carta ti aiuta a sentirti più legato all’Italia… perché se glielo dici tu magari qualcuno non ci crede”.

Un investimento per il futuro del Paese

Chiamare con il loro nome questi ragazzi e ragazze significa valorizzarli, contrastare segregazione e xenofobia, dare libero corso alle loro capacità e aspirazioni”, ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice ricerca di Save the Children.

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