Un nuovo episodio di tensione scuote la penisola coreana. Martedì pomeriggio, l’esercito sudcoreano ha sparato colpi di avvertimento contro un gruppo di soldati nordcoreani che, secondo Seul, avevano oltrepassato brevemente la linea di demarcazione militare nella zona demilitarizzata (DMZ). I militari del Nord si sarebbero ritirati immediatamente dopo gli spari, evitando un’escalation. La Corea del Nord ha denunciato l’accaduto come una “provocazione deliberata” e ha avvertito che simili episodi potrebbero “innalzare la tensione a livelli incontrollabili”. Il Tenente Generale Ko Jong Chol, citato dall’agenzia statale KCNA, ha dichiarato che i soldati nordcoreani stavano semplicemente lavorando per sigillare il confine fortificato, e che l’azione del Sud rappresenta una minaccia alla stabilità regionale. L’incidente arriva in un momento già delicato: nel 2024, la Corea del Sud ha sospeso l’accordo militare bilaterale del 2018, che prevedeva zone cuscinetto per evitare scontri accidentali. Da allora, gli episodi di frizione lungo il confine si sono intensificati, alimentando un clima di sospetto e nervosismo. In parallelo, Pyongyang ha rilanciato il proprio programma nucleare, con il leader Kim Jong Un che ha visitato una base navale e ribadito l’urgenza di “espandere rapidamente” le capacità atomiche del Paese. Le esercitazioni congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, in corso in questi giorni, sono state definite da Pyongyang come “provocazioni militari dirette”. La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione. Ogni gesto, ogni colpo sparato, rischia di trasformarsi in un detonatore diplomatico. E mentre le due Coree restano formalmente in stato di guerra dal 1953, la linea che separa la prudenza dal conflitto appare sempre più sottile.
