Dopo il blocco già in corso da Trieste ad Ancona, dal 16 agosto al 29 settembre si fermeranno le flotte tra San Benedetto del Tronto e Bari. Un mese più tardi, dal 1° al 30 ottobre, la sospensione interesserà invece il resto d’Italia: Ionio, Tirreno e isole comprese. Il fermo pesca è una misura periodica decisa per favorire il ripopolamento del mare e tutelare gli stock ittici, ma per le marinerie rappresenta anche un sacrificio economico pesante. Nonostante lo stop temporaneo, il prodotto fresco nazionale non sparirà dai mercati. A garantire le forniture saranno la piccola pesca costiera, le draghe, l’acquacoltura e le aree non soggette al blocco. Coldiretti Pesca invita i consumatori a fare attenzione alle etichette: “È fondamentale distinguere il pesce italiano da quello estero, ormai molto diffuso nei banchi delle pescherie e nei supermercati”.
Negli ultimi quarant’anni il peso delle importazioni è cresciuto in modo netto: dal 30% al 90% del consumo totale. Nel solo 2024 l’Italia ha importato 840 milioni di chili di pesce, contro una produzione interna di appena 130 milioni. Per il pescato fresco la legge obbliga a indicare la zona di cattura: per il Mediterraneo la sigla da cercare è ʼFao 37ʼ. Nei ristoranti, però, l’etichettatura non è prevista, salvo che per i prodotti di acquacoltura.
Cosa offre il mare in stagione
La stagionalità può aiutare a riconoscere l’origine del prodotto. In questo periodo, dalle acque italiane arrivano alici, sarde, sgombri, sugarelli, ricciole, cefali, triglie, gallinelle, scorfani, seppie, calamari e polpi. Al contrario, merluzzi, naselli, sogliole e rombi sono oggi più rari e quindi spesso di provenienza estera. Il fermo pesca 2025 coincide con un passaggio delicato per l’intero comparto. La proposta di bilancio della Commissione von der Leyen prevede infatti una riduzione dei fondi destinati alla pesca da 6,1 miliardi a poco più di 2 miliardi, con un taglio del 67%. Coldiretti Pesca denuncia che l’Italia ha già perso un terzo della flotta e circa 18mila posti di lavoro negli ultimi vent’anni. Per le marinerie, ulteriori riduzioni di risorse metterebbero a rischio la sopravvivenza stessa del settore.