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Italia, allarme demografico: sempre meno giovani al lavoro e pensioni a rischio

Il rapporto della Cna fotografa un Paese che invecchia più in fretta dell’Europa, con età media record, natalità in caduta e vita lavorativa tra le più brevi del continente
giovedì, 14 Agosto 2025
2 minuti di lettura

Tutto sommato, niente di nuovo. Ma di certo si tratta di una conferma: l’Italia è sempre più anziana, con pochi figli e pochi giovani al lavoro. A dirlo è l’ultimo rapporto di Cna su demografia, occupazione e previdenza, presentato a luglio 2025, che mette in fila dati e confronti europei difficili da ignorare. Il documento fotografa un Paese che, mentre vanta una delle più alte aspettative di vita del mondo (83,5 anni per i nati nel 2024, superata solo dalla Spagna (si ritrova con uno dei più bassi tassi di fertilità: 1,2 figli per donna, quart’ultimo posto in Europa e ben distante dagli 1,6 della Francia. Questo squilibrio ha spinto l’età media italiana a 48,7 anni, tre in più di Germania e Spagna e oltre sei rispetto alla Francia. Ma il dato più preoccupante è l’indice di dipendenza: nel 2024, per ogni 100 persone in età lavorativa (15-64 anni) ci sono 38,4 over 64, il rapporto più alto dell’Unione. È il segno di un invecchiamento accelerato: dal 2005 l’età media è aumentata di 7,1 anni, quasi il doppio rispetto a Germania e Francia.

Il sistema previdenziale è sotto pressione: la spesa pensionistica assorbe il 15,5% del Pil, record europeo, contro l’11,6% della Germania. Le riforme degli ultimi decenni, dall’introduzione del calcolo contributivo all’innalzamento graduale dei requisiti, hanno rallentato la crescita della spesa. Tra il 2006 e il 2022, l’Italia è l’unica grande economia europea ad aver ridotto il numero di pensioni erogate, nonostante l’aumento degli anziani. Ma la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa avverte: “Allungare l’età pensionabile non basta”. La vera criticità è la durata della vita lavorativa: in Italia si lavora mediamente 32,8 anni, contro i 40 della Germania, i 37,2 della Francia e i 36,5 della Spagna.

Giovani ai margini del mercato del lavoro

L’ingresso tardivo nel lavoro è il fattore decisivo. Solo il 19% dei giovani italiani tra i 15 e i 24 anni ha un’occupazione, contro il 51,2% in Germania e una media UE del 34,9%. In vent’anni la quota di under 25 sul totale degli occupati è scesa dal 6,7% al 4,7%, meno della metà della Germania (10,1%) e ben lontana dalla Francia (9,1%). Cna collega questa debolezza a rigidità strutturali, mismatch tra domanda e offerta e un sistema formativo che non accelera l’inserimento. Le difficoltà dei giovani nel trovare lavoro stabile alimentano un clima di incertezza che frena la natalità. Meno figli significa meno forza lavoro futura, aggravando il rapporto tra pensionati e occupati. È un circolo vizioso che mina la sostenibilità previdenziale e rischia di disgregare il tessuto produttivo, rallentando la trasmissione di competenze tra generazioni.

Cna vede nelle micro e piccole imprese una leva concreta di inversione: qui il 22,4% dei dipendenti ha meno di 30 anni, quasi il doppio rispetto alle grandi aziende (12%). Questi settori, dall’artigianato di qualità ai servizi alla persona e alla silvereconomy, possono dare ai giovani opportunità professionali e radicare attività nelle aree interne, contribuendo a frenare lo spopolamento e la deindustrializzazione del Sud.

Un’agenda per il rilancio

La conclusione del rapporto è netta: servono politiche strutturali per ridurre il ritardo nell’ingresso nel lavoro, puntando su percorsi formativi mirati, orientamento scolastico e universitario più aderente alle esigenze produttive e incentivi all’occupazione stabile. Non si tratta solo di rilanciare la crescita economica: è la condizione per mantenere in piedi il sistema pensionistico e preservare la coesione sociale. Un Paese con sempre più anziani e sempre meno giovani rischia di vedere ridotta la propria capacità produttiva, innovativa e competitiva. Il tempo per invertire la rotta, avverte Cna, non è infinito.

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